Problemi di Volley in Tanzania: appunti di viaggio
Il nostro obiettivo era restituire alla pallavolo almeno un po’ di quanto questo meraviglioso sport ci ha regalato, in termini di emozioni, nel corso delle nostre vite.
E invece, anche questa volta, siamo in debito. Abbiamo ricevuto molto più di quanto siamo riusciti a dare.
Questo è un breve racconto della nostra esperienza in Tanzania.
Partiamo da qui. Ormai più di un anno fa abbiamo intervistato Lesley De Jonge, un coach olandese che, per una fortuita serie di eventi, ha ricevuto (e accettato) la bislacca proposta di andare ad allenare la Nazionale di pallavolo maschile del Nepal. Un’esperienza incredibile, che lo ha ispirato a fondare un’associazione, chiamata Let’s Keep the Ball Flying, per supportare progetti di pallavolo in ogni angolo del globo: dalla Siria alla Sud Africa, dai campi profughi in Grecia alle isole delle Filippine.
Proprio da quell’intervista ha cominciato a insediarsi nei nostri cervelli un’ideuzza: «Cosa potremmo fare noi, come Problemi di Volley, per partecipare a questa splendida iniziativa?».
La risposta è arrivata circa un anno dopo, sotto forma di raccolta fondi e materiali da spedire a diverse scuole di pallavolo in Tanzania. Grazie al supporto della nostra community abbiamo raggiunto i mille euro utili per far giungere a destinazioni palloni, reti e divise da regalare a giovani pallavoliste e pallavolisti. Siamo poi andati a consegnarli di persona, in compagnia di un gruppo di volontari olandesi, a diverse realtà del territorio.
Innanzitutto i Kilimagnet, una squadra universitaria di Moshi, all’ombra del Kilimanjaro, che ambisce a conquistarsi un posto nella massima divisione tanzanese. Dopo diversi giorni di intensi allenamenti sul cemento sbrecciato del loro campo all’aperto, con i ragazzi della squadra siamo andati a giocare in trasferta ad Arusha il match di qualificazione, poi vinto 3 a 0.
Piccola curiosità: alla partita, determinante per la stagione della squadra, siamo arrivati con oltre due ore di ritardo, in pieno stile “Pole Pole” (che in lingua Swahili vuol dire “Piano Piano”). E nessuno, tranne noi occidentali ansiosi e increduli, è sembrato preoccuparsene troppo. Si è giocato al nostro arrivo con tutta calma, come se niente fosse.
Poi è stato il momento delle scuole di pallavolo giovanili. Qui, solo i più fortunati tra i giovani atleti avevano il lusso di potersi permettere scarpe da ginnastica. O scarpe di qualsiasi forma e dimensione. C’erano ragazze che giocavano con le ballerine. O a piedi scalzi. Eppure la passione e l’attenzione durante gli esercizi, nonostante la barriera linguistica (abbiamo usato l’inglese e tanti, tanti gesti), erano sempre al massimo.
Infine, sulle meravigliose spiagge di sabbia bianca di Zanzibar, abbiamo incontrato una classe delle scuole medie femminili.
In tutte le tappe abbiamo portato in dono attrezzature da pallavolo e tenuto allenamenti che porteremo nel cuore molto a lungo. Abbiamo incontrato, e a volte ci siamo anche scontrati, con una cultura molto diversa dalla nostra. È stato frustrante in certi casi, lo dobbiamo ammettere, avere a che fare con alcune arretratezze (ad esempio la gestione dei rifiuti di plastica, che costellano letteralmente città e campagne). A volte anche emotivamente provante essere messi di fronte a una realtà di vera povertà, con la consapevolezza di avere pochi mezzi per essere davvero di aiuto. Molto lo dobbiamo ancora elaborare: ci vorranno mesi. Ma, crediamo, è stato solo l’inizio di un progetto che speriamo possa ripetersi negli anni; magari in altri angoli di mondo, con altri compagni di viaggio.
In tanti ci avete scritto bellissimi messaggi di supporto; o per chiederci informazioni su come partecipare. Piano piano (“Pole Pole”), vedrete, risponderemo a tutti!
Nel frattempo, un enorme grazie a chiunque ci abbia supportato!