Novembre 14, 2020

«Mi hanno chiesto di allenare la Nazionale del Nepal. E ho detto sì»

Tommaso Dotta

«Lo ricordo come fosse ieri: ero a Venezia con la mia fidanzata e ho ricevuto una telefonata. Mi hanno chiesto di diventare l’allenatore della Nazionale maschile del Nepal»


A 27 anni, Lesley De Jonge già allenava una squadra di serie A olandese.

«Da ragazzo volevo solo una cosa dalla mia vita: diventare il migliore – racconta -. Qualsiasi sconfitta mi bruciava enormemente. Si può dire che fossi egoista; ma è una caratteristica che aiuta se si punta a diventare professionista».

Poi, un giorno, qualcosa è scattato. Qualcosa che ha cambiato le sue priorità.

«Avevo un percorso in mente: studiare Psicologia dello sport negli USA – racconta Lesley, che abbiamo intervistato con una videocall internazionale -. Avevo ottenuto una borsa di studio, che mi avrebbe permesso di studiare e allenare. Era tutto pronto, tutto pianificato. Ma all’improvviso, e ancora oggi non so il perché, mi è stata rigettato il Visto».

«È stato un brutto colpo. Ci ho messo quasi un anno a somatizzarlo. Un incontro però ha cambiato il mio intero modo di vedere le cose: ho conosciuto Giovanni Guidetti, quando è arrivato in Olanda per allenare la Nazionale olandese».

Giovanni Guidetti

«Giovanni è stato uno dei coach che più mi ha ispirato. Mi sono offerto volontario per dare una mano; e ho scoperto che, nella community della pallavolo, è incredibilmente facile conoscere persone influenti, costruire una relazione. Sentirsi dire “ok, vieni a cena con noi che ne parliamo”. Siamo uno sport conosciuto in tutto il mondo, eppure i top non sono così irraggiungibili, come succede ad esempio nel calcio».

«È cominciata così una nuova fase della mia carriera da allenatore. Una fase in cui non contavano solo le vittorie ma anche, e soprattutto, le relazioni. La pallavolo mi ha permesso di viaggiare tanto. Sono sceso in Italia diverse volte a Bergamo, Novara, Conegliano…».

«La vera svolta è però arrivata 3 anni fa. Lo ricordo come fosse ieri: ero a Venezia con la mia fidanzata e ho ricevuto una telefonata. Mi hanno chiesto di diventare l’allenatore della Nazionale maschile del Nepal».

Nepal volleyball

Ma perché, di tutto il mondo, proprio il Nepal?

«Una coincidenza davvero curiosa. Con il Nepal, l’Olanda aveva appena dato inizio a una collaborazione, nata nel modo più semplice possibile. I due presidenti delle federazioni si sono trovati seduti uno a fianco all’altro in un evento internazionale a causa dell’ordine alfabetico (Nepal – Netherland)».  

De Jonge Nepal

«Ho deciso di cogliere l’opportunità e mi sono trovato catapultato in un mondo davvero diverso dal nostro. Il Nepal ha due soli palasport: tutti gli altri team si allenano all’aperto, anche sull’Himalaya. I giocatori della Nazionale vivono in posti che è difficile da definire “case”. Eppure fin da subito hanno dimostrato un entusiasmo, una motivazione incredibile, mai vista in un gruppo. Erano così grati di avere un allenatore straniero. Pretendevano di portarmi la borsa dentro e fuori dalla palestra. All’inizio volevo oppormi, ma ne sarebbe nata una discussione inutile».

«Ci siamo allenati due volte al giorno, al mattino presto e alla sera tardi, per evitare le ore più calde della giornata. Volevamo arrivare ai Giochi Asiatici 2018, il più grande evento sportivo del mondo dopo le Olimpiadi, e ce l’abbiamo fatta. Il Nepal non partecipava da 20 anni».

Nepal Volleyball

«Il nostro obiettivo era vincere una partita ma, soprattutto, diffondere nel mondo l’energia, la cordialità nepalese. Di partite ne abbiamo vinte due. E lo Stato del Nepal ha proclamato la pallavolo sport nazionale».

«Nel 2019 il Nepal ha ospitato a Kathmandu i Giochi dell’Asia Meridionale. Per l’occasione ho dato una mano anche alla Nazionale femminile ed è stato incredibile: abbiamo vinto la semifinale e perso la finale solo al tie break contro l’India».

«Nel frattempo centinaia di bambini hanno partecipato ai nostri allenamenti gratuiti. La federazione olandese ha spedito palloni e magliette da regalare. Non lo dimenticherò mai: una ragazzina sorrideva da un orecchio all’altro e mi ha detto “non avevo mai avuto la sensazione di far parte di un gruppo”. Ad appena 13 anni era dipendente da droghe ed era già stata venduta a diversi uomini».

«È in quel momento che ho realizzato la vera forza, il vero impatto che la pallavolo e lo sport possono avere sulle persone. Credo sia lì che ho deciso di fondare “Lets keep the ball flying”».

«L’associazione è formata da soli volontari che non guadagnano un centesimo. Il nostro unico obiettivo è restituire quello che la pallavolo ci ha dato in tanti anni di amicizie, emozioni, viaggi, legami e tutte quelle cose che ci hanno reso ciò che siamo».

«Uno dei nostri progetti ci ha portato in Grecia, a insegnare pallavolo nei campi di prima accoglienza per i profughi in attesa di poter entrare in Europa. La condizione in cui vivono è impensabile. Anche un solo allenamento al giorno può dar loro la motivazione a tenere duro, regalargli un’ora di gioia e spensieratezza».

Let's keep the ball flying

«In collaborazione con un’azienda olandese di trasporti abbiamo spedito giù un carico di attrezzature che gli sportivi tenevano, magari inutilizzate, dentro gli armadi. Ora stiamo discutendo con la FIVB per rendere il progetto sostenibile economicamente e farlo proseguire».

«Siamo l’unico sport che è così praticato a livello mondiale, ma ancora così piccolo in quanto a vicinanza tra le persone, anche ad altissimi livelli. Possiamo davvero sfruttare questa caratteristica per avere un grande impatto».