Vita da libero: «Una continua sfida alle proprie insicurezze»
Tra le numerose rivoluzioni che il mondo della pallavolo ha subìto a cavallo tra gli anni ’90 e 2000, oltre al Rally Point System, poche hanno avuto un impatto poderoso sul gioco come l’introduzione del ruolo del libero.
Questa figura, nata nel 1996, ha fatto poi il suo esordio ufficiale nella Word League dell’anno successivo. Inizialmente la novità non venne accolta da tutti: gli addetti ai lavori ebbero difficoltà a comprendere subito l’importanza strategica e le potenzialità che si potevano nascondere dietro al ruolo. Molte squadre, inizialmente, relegarono come liberi i giocatori a fine carriera o addirittura scelsero di non avvalersene.
La paura nell’ambiente, poi in parte confermata, era che l’introduzione di questo ruolo potesse portare all’estrema specializzazione anche degli altri ruoli in campo. Ma la corsa alla specializzazione era già in atto, a prescindere o meno dall’introduzione del libero.
Pro e contro del ruolo
Il libero, un tempo come oggi, è l’eccellenza della seconda linea, che fa della difesa e della ricezione i suoi punti forti. Solitamente entra al posto dei centrali, ma è solo una convenzione: in teoria può sostituire qualsiasi giocatore della seconda linea.
Piccola curiosità: nella pallavolo di college USA, e solo in quella, il libero può anche eseguire la battuta.
Con il passaggio alla pallavolo maschile moderna, dove l’attacco ha lo strapotere su tutti gli altri fondamentali e dove le battute in salto sono diventate sempre più difficili da contenere, ecco che quello del libero emerge come un ruolo chiave per vincere le partite. Tanto quanto uno schiacciatore o il palleggiatore.
Ma il libero è un ruolo complesso anche, e soprattutto, dal punto di vista psicologico. Rispetto agli altri, dove le occasioni per emergere sono molteplici, per lui poche sono le chance di ergersi a protagonista positivo della partita; enormi, invece, quelle di essere protagonista negativo. Come un portiere nel calcio.
La scuola italiana
Il movimento italiano è certamente un panorama d’eccellenza: lo testimonia il fatto che oggi molte società del nostro campionato scelgono giocatori nostrani per coprire questo ruolo; in Superlega questo accade per nove club su dodici; nel campionato di Serie A femminile invece per tutte le tredici squadre.
Un caso? Decisamente no. Questo anzi è il segno dell’ottimo lavoro che stanno compiendo di fatto molti vivai che hanno deciso di lavorare molto non solo nel reparto di attacco e muro ma anche in quello di difesa. Forse anche complice il fatto che, nelle tattiche di gioco, è passato il messaggio che una buona ricezione sia decisiva per tutte le fasi del gioco successive.
Partendo dagli inizi la lista di nomi di giocatori che hanno reso importante questo ruolo conta giocatori come Mirko Corsano, Damiano Pippi, Paola Croce a cui si aggiungono quelli in attività oggi come Paola Cardullo, Massimo Colaci, Monica De Gennaro, Imma Sirresi, Fabio Balaso, Giulia Leonardi, Salvatore Rossini…
Quattro chiacchiere con Salvatore Rossini, libero della Trentino Volley
Il ruolo del libero è quello che hai scelto fin dagli inizi della tua carriera? Cosa ti ha spinto a sceglierlo e cosa ancora oggi ti piace di più di questo ruolo?
A Formia dove ho iniziato ero uno schiacciatore; poi quando sono andato a Latina a 17 anni mi hanno detto che, se avessi voluto giocare in serie A, avrei dovuto farlo come libero. Non ero abbastanza alto per giocare come schiacciatore e, visto che avevo deciso di lasciare famiglia, amici e la scuola per provare ad arrivare più in alto possibile, ho deciso di provarci e che quella sarebbe stata la mia strada. Quindi a 17 anni sono diventato un libero a tutti gli effetti e ho smesso di schiacciare.
Rispetto agli altri ruoli che allenano tutti i fondamentali, per il libero la ricezione è quella più importante. Che tipo di allenamento mirato hai svolto e svolgi per essere ad alti livelli?
Avere una palla alta nei tre metri a disposizione del palleggiatore vuol dire avere un cambio palla efficace al 70% in Serie A. Per questo la ricezione è un fondamentale così importante, che può far vincere le partite.
In allenamento è un aspetto sicuramente di quantità: si fanno tante ripetizioni, soprattutto per quello che riguarda la flot.
Si fa tanta spara palloni: c’è bisogno di tanta energia mentale nel non farsi abbattere quando si sbaglia una palla e, anzi, avere la volontà di stare lì a provare e riprovare sapendo che quella è la tua vita. Disinnescare bombe.
Per quanto riguarda la battuta in salto è vero, le velocità sono sempre crescenti negli anni. Ma anche il libero si è adattato, è diventato sempre più bravo: la ricezione è qualcosa che assomiglia sempre più alla difesa.
In quest’ultimo periodo molto si allena anche il palleggio. Con lo svilupparsi di una pallavolo sempre più fisica e quindi dove è sempre più difficile attaccare con il muro a tre, è stato introdotto logicamente anche il palleggio con la finta di attacco da parte di posto 6; quindi quando la palla è buona molte volte va lo schiacciatore a palleggiare.
Qualche tempo fa per The Owl Post hai scritto: “Per fare il libero devi possedere una forza mentale che rasenti l’incoscienza; una tenuta nervosa che confini, o piuttosto che sconfini, a volte nella meditazione. […] Fare il libero è una costante lotta di nervi contro il proprio sistema nervoso centrale, moderni Don Chisciotte in pantaloncini assorti ad infilzare i propri mulini a vento. […] Il libero non sfoga mai la tensione nel gesto tecnico: se sbaglia una ricezione il suo successivo tocco sarà un’altra ricezione e se sbaglia anche quella lo attende una nuova ricezione ancora. Il libero non ha nulla di diverso tecnicamente a cui ancorarsi dopo un errore e vive una sfida infinita tra le proprie insicurezze e le proprie convinzioni, lunga dai tre ai cinque set”.
Ci puoi spiegare meglio cosa hai inteso con queste parole? È in questo passaggio che secondo te risiede la più grande difficoltà nell’essere un libero?
Il discorso fatto all’interno dell’articolo del The Owl Post mi piace tantissimo, ed è relativo al discorso dell’errore, del come fare a valutarlo. Facendo un parallelismo con altri ambiti, ad esempio lavorativi, molti dicono che l’errore è una forma di apprendimento; nel nostro caso l’errore è un dover superare un gradino che è quello della perseveranza; perché bisogna rimanere ancorati alle proprie convinzioni, alla propria capacità di dirsi di saperlo fare, di poterlo fare. E quindi di affrontare la ricezione successiva con uno spirito sempre aggressivo e come se prima non ci fosse stato nulla.
È tutto molto delicato perché uno schiacciatore ad esempio dopo una brutta ricezione può mettere giù la palla e il punto lo si fa uguale; mentre quando c’è una brutta ricezione, il libero ha quasi la responsabilità quantomeno di andare in copertura aggressivissimo per cercare di dare un’altra possibilità di gioco alla propria squadra. Ma ha soprattutto l’obbligo di essere sempre lucido e quindi di pensare sempre alla squadra, nel senso che deve cancellare immediatamente quello che può essere un disappunto personale per rigettarsi nel ruolo di regista della seconda linea.
Perché secondo te molte delle squadre del nostro campionato scommettono su talenti italiani per il ruolo di libero?
Devo dirti la verità, da una parte ci sono sempre più liberi stranieri perché, anche da questo punto di vista, si sta dando un’importanza sempre più notevole al discorso della ricezione. Però dall’altra alcuni vivai stanno tornando, ad esempio quello di Padova ha fatto uscire Balaso e Scanferla, ma ci sono anche molti vivai del Sud che stanno producendo ricettori molto buoni, così come a livello giovanile, anche nelle nazionali.
Questo perché secondo me si è tornato ad allenare il bagher come si sarebbe dovuto fare anche gli anni scorsi, quando invece si pensava che la ricezione si potesse fare in palleggio. Invece quello è un aspetto secondario, un aspetto che può aiutare, ma quello principale rimane allenare il bagher. E in questo gli italiani, secondo me, sono molto bravi a tutti i livelli, anche perché lì è qualcosa di indipendente dall’altezza e dal resto. Quella che si insegna è un tecnica, e questo è merito anche degli allenatori che sono sempre i più aggiornati, i più preparati, forse da un punto di vista tecnico sono allo stesso livello solo gli americani.
Questo è frutto di tanto lavoro, ma anche magari di un immedesimarsi dei ragazzi in un ruolo che prima era visto come secondario e adesso è visto come protagonista.
Monza, Latina, Modena e oggi Trento. Che cosa significa per il tuo percorso di pallavolista aver giocato e giocare in queste grandi squadre ed aver ottenuto grandi risultati?
Non lo avrei mai immaginato, perché sono partito da Formia dove c’era la Serie D, e quindi per me arrivare anche solo in Serie C sarebbe stato già un grandissimo risultato. Sono stato fortunato perché mi sono trovato nei posti giusti nel momento giusto e ho avuto la fortuna di disputare tutti i campionati: questo mi ha permesso di avere un percorso di crescita costante, senza salti che magari sarebbero stati troppo ampi e pericolosi. Ho avuto modo di vincere tutte le serie, dalla 1° divisione alla A1. Mi manca solo la A2 da vincere, però quella poi ci penserò forse tra qualche anno.
Sono molto orgoglioso del mio passato in queste squadre, anche perché in tutte ho giocato più di un anno e questo secondo me è un bel segnale; tendo ad avere poi dei rapporti personali molto belli con le persone con cui sto e quindi oltre a quello che succede in campo, mi lego alla città in cui sto.
Sono molto molto felice della mia carriera e chissà di quell’altro che succederà.
Che consigli ti senti di dare a quanti si avvicinano a questo ruolo?
Quella del libero è una vita di sacrifici, però è una vita emozionante. Una vita che non ha confini, perchè non ci sarà mai chi giocherà di più perché è più alto di te, perché è più forte fisicamente di te. È una vita dove tutto dipende da te, dalla forza mentale che hai, dalla forza e dalla volontà che metti in allenamento e questo è fantastico perché sono fattori indipendenti dal resto. A volte è una vita difficile, perché spesso quando le cose non vanno bene gli occhi sono puntati su di te; ma allo stesso tempo può dare tantissime soddisfazioni perché è anche una vita dove tutte le grandi squadre ricordano di aver avuto un grande libero.