Aprile 26, 2022

Sitting Volley: Sabina Fornetti sul set con Pierfrancesco Favino

Chiara Maroni

Atleta di Sitting Volley che ha indossato la maglia azzurra. Punto fermo della squadra femminile della DiaSorin Fenera Chieri ’76… e attrice per 48 ore.

Una lunga esperienza per Sabina Fornetti che è stata, in passato, parte della Nazionale Femminile durante la lotta per la qualificazione alle Paralimpiadi di Rio de Janeiro 2016 e che da anni è capitano del suo team.

La lista delle sue avventure nel 2019 l’ha vista coinvolta in una nuova esperienza, quando lo sport ha incontrato il cinema. Risultato? Essere scelta tra le comparse, insieme ad altri atleti della società di Chieri, nel film di Riccardo Milani “Corro da Te”, uscito nelle sale il 17 marzo, con protagonisti Pierfrancesco Favino e Miriam Leone. La storia, remake di un film francese, vede l’ex Miss Italia interpretare una ragazza paraplegica, mentre il collega si cala nei panni di un seduttore incallito che sfrutta anche escamotage discutibili, come fingere di essere a sua volta paraplegico pur di conquistarla.

Le abbiamo fatto qualche domanda per conoscere più da vicino il suo impegno nello sport che pratica e per sapere com’è andata la sua partecipazione alle riprese del film.

Sei una veterana del Sitting Volley italiano, cosa rappresenta per te questo sport?

«Per me è una splendida opportunità, un modo per fare attività sportiva con altre compagne, condividendo l’esperienza con persone sia disabili che normodotate; è un modo per fare sport di movimento e di squadra divertendosi. Tra l’altro, nel campionato italiano si può giocare insieme, persone disabili e normodotate. A livello di nazionale disabili invece si distingue tra disabile e minimo disabile».

Qual è stato il momento più emozionante della tua carriera?

«Indossare la prima volta in assoluto la maglia azzurra, oltre che la prima volta in assoluto che ho sentito l’inno di Mameli. L’occasione è avvenuta in un torneo disputatosi in Cina; la Nazionale Femminile era nata solo nell’aprile del 2015 e quello è stato il primo torneo a cui partecipava, non avevamo esperienza ed è stato il primo step compiuto insieme».

Dopo tanti anni di esperienza tra club e nazionale, come ti fa sentire essere Capitano di una società storica nel mondo del volley come Chieri?

«Bello ed emozionante, allo stesso tempo ne sento la responsabilità perché mi metto in gioco chiedendomi se mi comporto bene, se sto facendo il meglio per la squadra. Anche interagire con elementi nuovi nella squadra è facile, è uno sport che prende; sono da molti anni a Chieri e ogni volta che si aggiungono nuovi elementi rimangono affascinati dall’ambiente.

C’è partecipazione e buona adesione al Sitting Volley a Chieri, è una società che ci supporta e ci aiuta. Il presidente Filippo Vergnano crede fortemente nei valori di questo sport, ci dà una mano enorme, è disponibile, oltre ad avere voglia di fare. Un esempio recente è stata l’edizione della DiaSorin Cup, svoltasi a dicembre scorso con il format dell’All Star Game in cui sono stati coinvolti tutti gli atleti disabili in Italia, creando otto squadre miste, definite dai rispettivi coach delle Nazionali di Sitting Volley: è stato il primo evento con solo atleti disabili di tutta Italia. Anche a livello mediatico c’è stato un buon riscontro. Purtroppo, si fatica a trovare atleti disabili che vogliono mettersi in gioco, soprattutto per le squadre femminili, e questo accade sia a Chieri che in Piemonte in generale».

Perché non conoscono la realtà del tuo sport o perché ne praticano altri?

«Non so, forse perché è più complicato se non c’è una squadra che ci crede veramente e organizza tutto, per esempio molti fanno nuoto, me compresa, perché è un’attività in cui posso organizzarmi e andare a praticarla in autonomia. Non so se la situazione è la stessa in tutti i contesti, tra l’altro ce ne sono alcuni con squadre importanti, come Pisa in Toscana, che al momento è la squadra più forte in Italia e a livello europeo, solo due settimane fa hanno vinto il torneo continentale dopo aver partecipato in qualità di campionesse uscenti del campionato italiano».

La Nazionale Femminile di Sitting Volley ha raggiunto il quinto posto nel ranking mondiale lo scorso novembre, complice la vittoria della medaglia d’argento agli ultimi Europei 2021. Pensi che il movimento stia diventando più competitivo? E cosa, invece, credi che possa essere migliorato?

«Come già accennato, la squadra femminile è nata nel 2015, ha fatto passi da gigante contando anche lo stop dovuto al covid. Gli uomini sono partiti prima e so che ora con il nuovo C.T. Alireza Moameri faranno molti allenamenti in preparazione dei prossimi impegni.

Come miglioramenti penso che un passo da fare possa essere far conoscere il nostro sport nelle scuole. Ho partecipato ad incontri in tutte le scuole di ordine e grado e noto che i giovani, a prescindere dalla presenza di ragazzi disabili, si rendono conto che è uno sport bello anche se faticoso, è divertente, dà soddisfazione e può dare risultati con i giusti allenamenti. Farlo conoscere alle nuove generazioni sarebbe uno step fondamentale, così come parlarne di più anche nel mondo dell’informazione, nei quotidiani, sui social, questi ultimi ci potrebbero dare più visibilità, anche associando il sitting volley ad altri eventi».

Avrebbe più impatto se l’esperienza sportiva venisse raccontata direttamente da chi la pratica?

«A tal proposito, andrò all’Università di Torino a presentare il Sitting Volley di persona per il corso di Scienze Motorie: forse può avere più impatto impegnare chi lo pratica per testimoniare cosa fa e per farlo conoscere di più. Qui abbiamo provato a coinvolgere anche città vicine dove ci sono squadre di volley, ma forse non c’è la stessa passione come la ha il nostro presidente, forse perché non si trovano gli atleti disabili, o forse pensano che sia uno sport difficile e complicato da praticare. Un altro problema sono le barriere architettoniche, girando un po’ ho visto che non sempre palestre e spogliatoi sono accessibili».

Parliamo del film “Corro da te”. Compari, insieme ad altri atleti, in una scena in cui venite presentati come gli amici di Chiara, il personaggio interpretato da Miriam Leone.

«È stato veramente bello! Il regista stava cercando una location per girare le scene di tennis in carrozzina e ha contattato il Presidente del Chieri. Avrebbe voluto girare nel palazzetto usato dalla squadra femminile, ma sarebbe stato complicato allestire il campo da tennis e smontarlo visto il calendario del campionato, così quelle scene sono state girate al circolo sportivo. Il regista ha parlato di cosa stava cercando, servivano anche altri atleti e aveva già trovato Giulia Capocci, numero uno del tennis paralimpico italiano, e conosceva Costantino Perna, che a sua volta ha fatto da comparsa come allenatore di Miriam nella scena della partita. Filippo, il nostro Presidente, mi ha spinta a fare il provino e mi hanno ricontattata, dicendomi poi che mi avevano presa e sono andata là per i due giorni delle riprese. Non mi ero informata di nulla e mi hanno mandato un file con indicato cosa avremmo dovuto fare, poi quando siamo arrivati lì ci hanno detto che serviva solo per contestualizzare la scena e che potevamo essere spontanei».

Quando chiuderai la tua carriera di atleta pensi che sarà stato più soddisfacente aver vinto riconoscimenti e trofei o aver recitato con Favino?

«Non sapevo ci fosse Favino e sono rimasta sorpresa, non avevamo idea di chi ci fosse nel cast! Sia lui che il regista che Miriam sono persone splendide, umili, si sono messe in gioco nel tentativo di imparare qualcosa che appartenesse ad un nuovo mondo. Hanno provato a vestire i panni di persone disabili in tutto e lo sembravano davvero. Parlando con loro ho visto che si sono resi conto che non è così facile, sta tutto nella capacità di adattamento e nell’abitudine. È stato bello da parte loro cercare di conoscere questo mondo. [Ride] No dai, aver condiviso delle gioie con la squadra è stato più soddisfacente».

È stato più impegnativo partecipare a un ritiro della Nazionale o lavorare due giorni sul set per le riprese?

[Ride] «Il ritiro con la nazionale è faticoso…non riesco a mettere insieme queste due cose! Diciamo che l’adrenalina è simile, non riuscirei a comparare la fatica. Un ritiro è tosto per gli allenamenti, nel set l’adrenalina era simile, concentrata in due giorni come quella di un ritiro.

Stare sul set è stato bello, mi è piaciuto questo mondo, vedere le persone che girano intorno al film, non immaginavo ce ne fossero così tante: chi prepara le scene, chi spostava i cavi, i macchinisti, senza contare tutto il lavoro che fanno dopo, poi i costumisti, le truccatrici, un mondo di gente gentile».

Nel film si fa cenno anche al mondo degli atleti paralimpici; il fatto che, invece, la storia giri intorno alla vita quotidiana della protagonista può aiutare a migliorare la percezione delle persone disabili, evitando che i campioni siano visti come modelli irraggiungibili?

«Sono contentissima che si parli dei risultati degli atleti paralimpici, è un bellissimo mondo e sono felice della loro presenza. Quello che mi è piaciuto tanto del film è proprio che si parli delle persone disabili nella vita di tutti i giorni e della loro quotidianità. Io vado al lavoro, faccio sitting, faccio scout, esco con gli amici, faccio aperitivi, ecc e lo faccio anche se sono disabile. Credo sia importante trasmettere alle nuove generazioni l’idea che, nonostante le difficoltà, si può riuscire a condurre una vita normale.

Una volta stavo svolgendo un’attività con gli scout e un lupetto mi ha detto che con la maestra avevano parlato di Paralimpiadi e Olimpiadi e voleva che andassi a scuola a parlarne. Quello è il bello: non ci deve essere questa barriera dell’inarrivabile, né dell’eccezione. Lo sport è un ottimo canale di comunicazione perché i ragazzi e i bambini hanno voglia di fare, giocare, mettersi in gioco, partecipare e con esso si comunica facilmente. All’inizio possono essere un attimo scioccati vedendoti in carrozzina, ma se ti metti a terra a giocare con loro poi si lasciano coinvolgere, il resto sparisce».

Reciti in una scena con Pierfrancesco Favino dicendogli che “fare sport tira su il morale”, una frase semplice ma con un forte significato.

«Ci credo veramente a questa frase, è proprio così per me. Puoi andare a sfogarti in piscina, ma lì ti sfoghi con te stesso. Invece, quando vai in palestra, sei con le compagne e questo ti tira su di morale perché sei parte di una squadra, dai forza ad essa e lei ne dà a te, come un circolo virtuoso».