Live Like Line. La storia e il lascito di Caroline Found
Caroline “Line” Found perse la vita a 17 anni in un incidente stradale.
Era la palleggiatrice e il cuore pulsante dell’Iowa City West, negli USA.
Questa è la sua storia. E la storia di tutta la sua squadra che, in quella drammatica stagione, fu capace di trasformare il dolore per la sua perdita in energia pura, arrivando a vincere il campionato nazionale.
“Line” non è solo la regista del suo team. È quella compagna di squadra che ti sa tirar su il morale quando non è la tua giornata e in campo non ti riesce niente. Quella compagna che spezza la tensione del pre-partita facendoti ridere così, dal nulla. Quella che riesce a diventare amica persino delle avversarie.
Con lei in campo, l’Iowa West High School vince il campionato 2010.
La stagione successiva, le ragazze tornano in palestra determinate a ripetersi e difendere il titolo. Ma succede l’inaspettato, l’incredibile.
«L’ho saputo quando sono tornato a casa e ho trovato lo sceriffo ad aspettarmi davanti all’ingresso» racconta papà Ernie.
Caroline, la più piccola di tre fratelli, è morta in un incidente. Niente alcool, niente droga, solo un errore fatale mentre era alla guida del suo scooter.
Tragedia nella tragedia, la mamma di Caroline (gravemente malata di cancro al pancreas) riesce appena ad assistere al funerale della figlia prima di scomparire lei stessa, a una settimana di distanza.
«Tornare in palestra è stato difficile per tutti, avendo perso un’amica, la miglior giocatrice e la leader del gruppo – ricorda Kathy Bresnahan, l’allenatrice – ma decidemmo di continuare. Di provarci lo stesso».
A prendere il posto di palleggiatrice titolare è Kelley Fliehler, sua migliore amica; con tutte le difficoltà che questa scelta comporta, sia a livello tecnico che emotivo.
I nuovi schemi fanno fatica a ingranare. Arrivano le sconfitte, i dubbi, ad aggiungersi al fardello del ricordo da portarsi dietro. Ma, a tener su la squadra in questo momento buio, accorrono i suoi tifosi: studenti e genitori.
“Live Like Line” (“vivi come Line”) diventa un motto da gridare a squarciagola. Da scrivere su tante magliette blu. Da cantare, sulle note di “Sweet Caroline” di Neil Diamond. E così papà Ernie, che contina a presentarsi in tribuna per seguire le partite, si ritrova presto circondato dall’affetto di una comunità intera. I match diventano un momento dove dimenticare per un attimo il dolore, affogarlo in un mare di entusiasmo.
La squadra inizia a ingranare, qualificandosi per le finali dello stato dell’Iowa.
Innanzitutto un breve inciso: il campionato studentesco negli USA non è un torneino ininfluente; è IL campionato per eccellenza. Si gioca in palazzetti enormi, con gli spalti gremiti come nella nostra serie A. Le tifoserie sono composte da tutti i ragazzi e le ragazze delle scuole partecipanti. Ci sono tamburi, coreografie, cori. Ci sono telecamere a riprendere e telecronisti a commentare.
Qui, nel momento più importante della stagione, avviene il miracolo. Di quelli che solo lo sport sa regalare.
Dopo aver vinto i primi due scontri, nella finalissima per il titolo l’Iowa West si ritrova sotto di due set a zero. Tutto perduto? Decisamente no. Le ragazze in verde sono ormai abituate ad affrontare sfide all’apparenza impossibili.
Rimontano, trascinano le avversarie al tie break, vincono 18 a 16.
Nella cerimonia di premiazione, la foto della compagna che non c’è più è sollevata in alto, in un misto di gioia e commozione.
Quel gruppo ha lasciato la scuola superiore ormai da anni. Sono cresciute, andate all’università. Alcune hanno messo su famiglia.
Eppure ancora oggi, un decennio più tardi, alla Iowa West High School le squadre femminili giocano in memoria di Line. La maglietta blu “Live Like Line” è diventata una divisa. La sua canzone l’inno della scuola. Un inno da cantare a squarciagola in campo, sulle tribune, durante le cerimonie di consegna dei diplomi.
Perché Line proprio questo avrebbe voluto: che il suo ricordo trasmettesse solo un’enorme, contagiosa, quasi molesta gioia di vivere.
A questa incredibile storia è stato dedicato un breve ma splendido documentario di HBO (per chi conosce l’inglese) e persino un film: “The Miracle Season”.