L’Italia del Volley in partenza per le Deaflympics, le Olimpiadi silenziose
Si chiamano Deaflympics, ma il nome italiano è ancora più affascinante: Giochi Olimpici Silenziosi.
Si tratta del più grande raduno mondiale di atleti sordi che quest’anno, per la prima volta nella storia del movimento, si disputerà in Sud America, più precisamente a Caxias do Sul. A partire alla volta del Brasile sarà una delegazione azzurra composta da circa 150 persone compresi staff e tecnici.
I pallavolisti che scenderanno in campo a partire da domenica 1 maggio sono circa 28. Le aspettative per le due Nazionali, reduci rispettivamente da un argento e un bronzo ai Mondiali 2021, sono alte.
Ma come si coniuga la sordità con la pallavolo? Lo abbiamo chiesto a due dei protagonisti di questo evento: Ilaria Galbusera e Riccardo dell’Arte.
Ilaria, bergamasca classe 1991, sarà assieme alla compagna di squadra Alice Tomat una delle veterane della squadra: per lei è la quarta Olimpiade e, al collo, ha già un argento risalente all’edizione 2017.
Riccardo, catanese classe 1996, alla sua seconda partecipazione, avrà la responsabilità di essere il vicecapitano della squadra italiana.
Come hai conosciuto la pallavolo? È stato un colpo di fulmine o un lento innamoramento?
Ilaria: Mi sono avvicinata alla pallavolo seguendo le gesta di mio fratello Roberto, anche lui pallavolista, in un momento piuttosto critico della mia adolescenza, dove avevo iniziato a non accettare più la mia sordità. Venendo da uno sport individuale, mi piaceva vedere come Roberto socializzasse in maniera del tutto naturale coi suoi compagni ed era una cosa che a me mancava molto. Nello sport così come a scuola ero sola; ricordo ancora oggi le merendine all’intervallo mangiate in solitudine. Mi sono iscritta più per un bisogno di socializzare che per una curiosità. Fondamentale poi è stato l’incontro con le ragazze della Nazionale Italiana di Pallavolo Femminile Sorde, totalmente realizzate nella vita, e ciò mi ha permesso di capire che anche io potevo trovare il mio “posto nel mondo”. Di lì, letteralmente, mi sono state messe le ali per spiccare il volo. Ora non posso fare a meno della palla di pallavolo, una passione che porto avanti da ormai 18 anni. Un lento innamoramento.
Riccardo: La pallavolo è sempre stata di casa: mio papà Tony è da sempre un malato di pallavolo. Ma da piccolo non ne volevo sapere, la vedevo come qualcosa che mi rubava tempo (qualche anno dopo un mio allenatore mi rinfacciò che durante le partite mi portavo le pile di Topolino per non doverle guardare). Ho fatto nuoto, calcio e arrampicata prima di cedere al richiamo del Volley, andando a infoltire le fila della mia famiglia di pallavolisti. Tra mio cugino ex pallavolista, mio nonno ex presidente, mio padre tuttofare, mi sono finalmente aggiunto anche io e, dopo una decina di anni, si è aggiunta persino mia sorella come arbitro attualmente al regionale. Ad oggi la pallavolo ci ha preso tutti: anche la mia ragazza che è una pallavolista, ex giocatrice della Nazionale sorde.
Top 5 cose che adori del volley?
I: Il senso di appartenenza ad un gruppo dove ci si aiuta e ci si motiva a vicenda; le amicizie che il Volley è in grado di creare e rafforzare nel tempo, quelle più care vengono proprio da qui; l’interdipendenza che è fondamentale per lo sviluppo del gioco; il fatto che la squadra conta più del singolo: si vince giocando insieme; e poi, siamo onesti, è anche top quando si vince!
R: La squadra e lo spogliatoio. Nulla unisce come un gruppo compatto con il quale affrontare le partite. La pallavolo è lo sport di inclusione per eccellenza; il contatto con il pallone, mi piace sentirlo fra le mie mani; gli scambi lunghissimi… però solo quando li vinci; il fatto che la pallavolo è una scoperta continua, ogni stagione sento che posso imparare qualcosa di nuovo dalle persone che mi circondano; i legami che si creano e perdurano nel tempo con i compagni con cui hai condiviso le tue esperienze sportive.
E cosa invece ti fa molto arrabbiare in un campo di pallavolo?
I: È molto difficile che mi arrabbi!
R: Arrabbiarsi in un campo da pallavolo è sempre relativo. Si può essere arrabbiati perché una palla cade, ma quello passa in fretta e si pensa all’azione dopo. Diverso è il discorso quando vedo qualche compagno di squadra che tenta di sopraffare mentalmente un altro compagno generando malumori nello spogliatoio. Lì potrei arrabbiarmi sul serio.
Secondo te, come ti descriverebbero i tuoi compagni di squadra?
I: In una recente seduta con la nostra mental coach, Laura Salimbeni, ognuna di noi aveva il compito di descrivere le proprie compagne con una parola e/o un suo punto di forza. Gli aggettivi che mi hanno descritta sono i seguenti: carismatica, grintosa, combattente.
R: Beh… “quello che non ci sente” è una descrizione perfetta! Sono un ragazzo fortemente auto ironico a cui piace ridere di se stesso e degli altri, inoltre mi descriverebbero come competitivo, a volte anche troppo. Cerco di lasciare un buon ricordo di me a tutti i miei compagni di squadra.
Qual è il miglior consiglio che una compagna di squadra o un allenatore ti ha mai dato?
I: In tutti questi 18 anni sono stati molti i consigli che ho ricevuto. Li accomuna tutti però la parola “divertirsi”. Perché senza divertimento non c’è passione e non c’è più la voglia di combattere in un campo di pallavolo.
R: Tanti sono stati i consigli positivi, ma uno in particolare mi ha colpito. Nei miei primi anni fuori dai settori giovanili, con i primi esami universitari e all’inizio della mia relazione con la mia attuale ragazza, non riuscivo a separare i miei problemi personali e me li portavo in palestra. Uno degli allenatori che ho avuto in Nazionale mi ha aiutato facendomi immaginare di avere una valigia nella quale ci sono tutti i problemi e mi ha detto che quella non doveva entrare in palestra, ma stare fuori dalla porta durante l’allenamento. L’avrei poi presa a fine allenamento per andare a casa. Devo dire che ha funzionato molto bene.
Quale pensi che sia oggi il più grande ostacolo nella vita dei sordi, al di fuori dello sport?
I: Ad oggi sono ancora molti gli stereotipi e i pregiudizi attorno al mondo della sordità, che sono duri a morire. Si parla poco di sordità, si fa poca informazione. È importante sensibilizzare e informare sulle difficoltà che una persona sorda affronta ogni giorno, in una società dove le barriere architettoniche e di comunicazione sono ancora alte. La piena inclusione delle persone sorde nella nostra società, purtroppo, è ancora lontana.
R: Parlando di sordi in generale sicuramente la comunicazione è uno dei nostri problemi principali, perché ognuno di noi è diverso e ha un modo differente di sentire e di comunicare. Una prima distinzione può essere fatta tra sordi oralisti, segnanti e bilingue, ma ognuna di queste categorie affronta problemi di comunicazione con il mondo molto diversi tra loro. Ad esempio io sono un sordo oralista, so poco della LIS (e un po’ la ritengo una mia pecca), riesco senza problemi a parlare al telefono ma ogni tanto al lavoro e in università ho qualche problema a capire gli altri a seconda del loro tono di voce; altri sordi oralisti potrebbero avere difficoltà a parlare al telefono mente altri ancora potrebbero non avere difficoltà a percepire toni di voce differenti. Il mondo dei sordi è troppo vasto per avere problemi di comunicazione uguali per tutti.
Cosa ti aspetti da quest’avventura in Brasile?
I: Tante cose. Fra tutte, che è anche l’obiettivo comune, quello di ritornare a casa con qualcosa di bello e importante al collo.
R: La FSSI (Federazione Sport Sordi Italia) ci sta dando una nuova opportunità. Noi come pallavolo maschile abbiamo uno staff di primo livello (Matteo Zamponi Head Coach, Ermanno Piacentini e Fischetto Teodoro secondi allenatori, Giulia Momoli Mental Coach e Diego Pieroni DT), dopo aver interrotto un digiuno di medaglie lungo 16 anni ai mondiali di fine ottobre a Chianciano Terme con un meraviglioso bronzo (con aggiunta personale di premio Best Setter per me), puntiamo a divertirci ancora. Vogliamo capire fino a dove il nostro meraviglioso gruppo si può spingere, che fa della squadra la sua arma vincente. Personalmente è la mia seconda Olimpiade e sono davvero emozionato; semplicemente non vedo l’ora di partire, di divertirmi, di rappresentare la mia terra insieme alla mia squadra.