Febbraio 13, 2021

Le Streghe d’Oriente: quando il Giappone dominava la pallavolo

Tommaso Dotta

Ultima notte prima della chiusura delle Olimpiadi di Tokyo 1964: è la notte della finale di pallavolo. Quella pallavolo che, per la prima volta, partecipava ai giochi olimpici.

In finale la Russia femminile, grande dominatrice di questo sport, sfidava il Giappone padrone di casa. Si giocava al Komazawa Gymnasium, un palasport da 4.000 posti, per un evento che sarà considerato dai giapponesi come una delle prime 10 grandi conquiste sportive del 20° secolo.


Ma chi erano le giapponesi?

Una squadra di bassa statura (la più alta, il capitano Kasai, era appena 1 metro e 74), debole fisicamente, ma allenata con mano esperta e maniacale.

Gran parte delle giocatrici erano membri della squadra della Nichibo Corp., un industria tessile, una potenza nella lega di pallavolo nazionale del Giappone. Le ragazze lavoravano al mattino e si allenavano la sera.

Il loro allenatore, Hirofumi Daimatsu, un ex comandante di plotone dell’esercito imperiale giapponese, era conosciuto come “orco” o “demone” per i suoi brutali metodi di addestramento.

Daimatsu era entrato a far parte della Nichibo nel 1954 e lavorava con le sue giocatrici ogni singolo giorno per anni, concedendo giusto una breve pausa intorno Capodanno. Senza nemmeno consentire riposo per i cicli mestruali. Le allenava dalle 16.30 a mezzanotte, con una sola pausa di 15 minuti (dalle 8 alle 16 facevano il lavoro d’ufficio).

Un prototipo di esercizio era il kaiten reeshiibu (ruota e ricevi), una manovra acrobatica di caduta e rotazione, simile al judo; un antesignano della rullata per difende la schiacciata. Le ragazze dovevano tuffarsi a terra ancora e ancora per recuperare la palla, sbattendo ripetutamente le spalle, finché non potevano più alzarsi ed erano vicine alle lacrime.

Tutti sembravano concordare sul fatto che questa pratica, che divenne nota anche come satsujin taiso (addestramento omicida), fosse una forma di tortura.

Daimatsu accettò placidamente che i suoi metodi di allenamento fossero crudeli, ribadendo la loro necessità. Non solo per sviluppare la tecnica fisica, ma anche per sviluppare lo spirito combattivo fondamentale a prevalere contro l’Unione Sovietica, che aveva a lungo dominato lo sport. Le atlete russe atlete erano più alte e fisicamente più forti delle giapponesi. Dal canto suo, le giocatrici dicevano di capirlo e difendevano il loro allenatore da qualsiasi critica.

La nazionale giapponese sorprese tutti quando vinse il campionato mondiale di pallavolo 1962 a Mosca. Il principale quotidiano russo Pravda, colpito dalla magia della tecnica di rullata di Daimatsu, le soprannominò le “Streghe d’Oriente” (Toyo no mayo). Tuttavia, molti considerarono la loro vittoria un colpo di fortuna e pochi pensavano che avessero la possibilità di ripetersi.

Il capitano Masae Kasai all’epoca aveva 29 anni e intendeva ritirarsi dopo il torneo di Mosca e sposarsi. Il desiderio del pubblico che lei guidasse ancora una volta la squadra contro le russe alle Olimpiadi casalinghe era però così intenso che Kasai decise di rimandare la sua ambizione.

Da quel momento in poi, Kasai e compagne si allenarono anche più ore di prima: dalle 15 fino alle 2 o 3 del mattino.


Alle Olimpiadi del 1964 la sconfitta in finale del judoka Akio Kaminaga contro Anton Geesink fu un duro colpi per il Giappone. E aumentò notevolmente la pressione sulle ragazze. Nel tardo pomeriggio del giorno della finalissima, le strade di Ginza, quartiere di Tokyo, erano già vuote di pedoni e automobili mentre le persone si precipitavano verso i televisori. Le conversazioni cessavano mentre tutti erano paralizzati davanti agli schermi.

Tra la folla quella notte al palasport era seduta, in uno speciale palco imperiale, la giovane e bella principessa Michiko; un’ex popolana che stabilì gli standard di eleganza tra le donne giapponesi con i suoi abiti a due pezzi, semplici collane di perle, portamento perfetto e modi deferenti.

In campo, il superiore gioco di squadra aiutò Kasai e compagne a stordire la squadra sovietica, vincendo i primi due set con facilità (15-11 e 15-8); tra i fragorosi applausi all’interno dell’arena e i ripetuti primi piani di una sorridente principessa Michiko in TV.

Le ragazze sovietiche reagirono nel terzo set, prendendo il comando sul 14-9, ma la squadra giapponese si lanciò in una grande rimonta, strappando ben sette punti consecutivi per conquistare l’oro: 3 a 0.

Le giocatrici saltavano piangendo di gioia. Milioni di persone in tutto il paese si alzarono ad applaudire. Persino la principessa Michiko perse per un attimo la sua compostezza.

Mentre un intera nazione festeggiava, coach Daimatsu, rigido sorvegliante, rimase invece in piedi da solo in disparte, trattenendosi dall’abbracciare o addirittura stringere la mano ai suoi cari.

Giappone pallavolo Olimpiadi

Secondo Video Research, il 94,5% di tutte le famiglie proprietarie di TV nel paese con televisori aveva guardato il punto finale in televisione. Il punteggio medio del 66,8% lo rende il secondo programma televisivo più visto nella storia del Giappone.

Le “Streghe d’Oriente” di Daimatsu sono diventate una metafora dei Giochi di Tokyo e l’argomento di una serie di trattati accademici che abbracciano i successivi 50 anni. Il loro kaiten reshiibu, poi brevettato, è stato visto come il simbolo della tenace rinascita dell’economia giapponese a 20 anni dalla caduta delle due bombe atomiche; un paese a corto di risorse ma pieno di spirito combattivo.

L’allenatore stesso godette di una fama duratura; prima come autore di libri di successo sullo stesso spirito combattivo, successivamente vincendo le elezioni alla Camera dei Consiglieri, dove avrebbe servito per 10 anni.

Anche la storia del capitano Kasai ha avuto un lieto fine. Quando la squadra ha incontrato il primo ministro Eisaku Sato sulla scia della loro vittoria, ha colto l’occasione per lamentarsi del fatto che gli anni di formazione spartana non le avessero lasciato tempo per trovare un marito. Sato, in seguito Premio Nobel per la Pace, non perse tempo a presentarla a un giovane ufficiale della neonata Forza di autodifesa giapponese.

Sorprendentemente, Kasai non si lamentò di aver già avuto abbastanza influenza in stile militare sulla sua vita; il matrimonio ebbe luogo nel maggio 1965. Fu un evento nazionale, con enormi titoli in tutti i media.

Nel suo discorso di congratulazioni alla cerimonia, il primo ministro Sato osservò come Kasai fosse più popolare nel paese di lui.

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La vittoria delle “Streghe d’Oriente” ha ispirato ben due saghe di manga e anime, poi esportati in tutto il mondo: in Italia sono conosciute con il nome di “Mimì e la Nazionale di pallavolo” e “Mila e Shiro“.

E, siccome nello sport spesso tutto torna in maniera ciclica, molte delle atlete che hanno composto la nostra Nazionale (soprattutto quella che vinse il primo mondiale nel 2002, come Francesca Piccinini), hanno imparato ad appassionarsi al volley proprio grazie a quella fortunata serie di cartoni animati.