Centrale ignorante state of mind
Nasce, cresce, mura (forse).
È dura la vita del centrale. Ancor di più la vita del centrale scarso, come il sottoscritto. Inizio a praticare questo sport al mio primo anno di liceo. Prima di allora c’era rispetto, ma non un sentimento vero nei confronti del Volley.
Qui a Novi Ligure, nell’alessandrino, c’è sempre stata una forte tradizione pallavolistica, con una squadra maschile, la Mangini, da alcuni anni stabilmente in serie B e formata perlopiù da atleti del territorio.
Un gran bel gruppo quello lì. Grazie a quell’esperienza ho modo di conoscere compagni, ma soprattutto amici, con cui sono ancora in ottimi rapporti oggi.
Il nostro campionato under 15 è trionfale: primo posto in classifica mai in discussione, senza nemmeno una sconfitta. Il peggior risultato è un 3-2 a nostro favore, in trasferta contro i secondi.
A quell’età il ruolo del centrale non è ancora previsto negli schemi tattici: doppio palleggio e tanti saluti, chi schiaccia lo fa come banda o come opposto.
L’anno successivo cambia tutto: un nuovo allenatore, nuovi compagni (un paio dei quali decisamente difficili da digerire), l’ingresso nell’under 18, la rete che si alza e l’inizio della vita da centrale. Un ruolo che non amo, ma nel quale mi applico pur non avendo grandi risultati e non facilitato di certo dai miei 175 cm di altezza. Non pochissimi, ma neanche tanti considerando chi mi trovavo davanti, sia come compagno che come avversario.
La stagione è di quelle né positive né negative, un’anonima via di mezzo nella quale non gioco molto e schiaccio (e muro) ancora meno.
La stagione seguente una buona fetta di squadra, tra cui me, se ne va e il mio rapporto con la pallavolo sembra troncarsi bruscamente. E così è, nonostante un’improvvisa crescita che mi fa passare dai 175 ai 190 cm. “Perché non è successo mentre giocavo?”, continuavo a chiedermi.
Ci penso, ma poi lascio passare la cosa. Passano gli anni e tanti sport nel mezzo. Nel 2011 però mi viene proposto di tornare a giocare in un campionato amatori misto, sotto al quale credo ci sia solo il mini-volley, grazie ad alcuni amici che ai tempi dell’under 15 erano miei compagni di squadra.
Riprendo la buona volontà e mi metto a disposizione, ovviamente da centrale. Un rientro traumatico nei primissimi tempi, con la coordinazione e le movenze che sembrano quelle di un palo da vigna. Dopo un breve periodo di adattamento però tornano le belle sensazioni di un tempo e soprattutto inizio a fare il centrale davvero: quello che schiaccia e mura (ecco, per riprendere la coordinazione a muro ci è voluto un po’ più di tempo). E chi se ne frega se il livello è quello che è, l’importante è tornare a farlo con il sorriso.
In due anni, arriviamo una volta primi e una volta secondi, qualificandoci anche alle finali nazionali estive di Rimini.
A ripensarci qualche anno dopo, non avrei potuto cambiare questo ruolo con nessun altro. In primis perché tecnicamente faccio pietà. In secundis perché a ricevere non sono decisamente una cima.
Per questi motivi credo sia arrivato il momento di ringraziare i miei angeli custodi, quei liberi che mi hanno salvato la pelle più e più volte in questi (pochi) anni da pallavolista scarso e pieno di… problemi di Volley.