Vita da palleggiatore «Preparazione tecnica. Poi tattica. E infine mentale»
Nella mia breve carriera pallavolistica, quello del palleggiatore è uno dei ruoli che ho provato sulla mia pelle. Fin da subito, imparando gli spostamenti e la coordinazione coi compagni di squadra, ho capito come questa posizione fosse quella che più va di fretta all’interno del campo, rimbalzando letteralmente da una parte all’altra alla ricerca del famoso secondo tocco.
Nel corso degli ultimi mesi abbiamo parlato con Salvatore Rossini, che ci ha detto come il ruolo del libero sia «una continua sfida alle proprie insicurezze». Con Daniele Mazzone, che ci ha raccontato come il ruolo del centrale (ignorante) sia continuamente «una lotta tra concentrazione e frustrazione». E infine con Vittoria Piani, che ci ha spiegato come l’opposto abbia come propria peculiarità il fatto di dimostrare che l’alzata destinata a lui se la debba meritare. È emerso come ogni ruolo sia speciale perché possiede qualcosa che va oltre al gesto tecnico o alla posizione occupata in campo.
Un ruolo sfidante, ma dalle grandi responsabilità
Il palleggiatore, proprio come un regista o direttore d’orchestra, ha il delicato compito di guidare la propria squadra nel corso dei set e organizzare il gioco. Giocare con lo spazio (lungo la rete) e il tempo (le velocità del pallone). Tutto affinché gli schiacciatori possano essere messi nella condizione di attaccare nel miglior modo possibile, facendo breccia nella parte più debole del muro avversario.
Tecnica e tattica si mescolano assieme e devono essere continuamente allenate: alla base di azioni pulite e attacchi efficaci c’è la forte intesa che il regista crea durante gli allenamenti con i propri schiacciatori. A lui la responsabilità, una volta iniziato il match, di capire ad ogni azione chi servire. Come farlo? Sicuramente alla base delle decisioni prese dal palleggiatore risiede la capacità di capire quale schiacciatore sia più “sul pezzo” in quel momento; deve inoltre valutare come il muro avversario sia piazzato e come superarlo. Insistendo, qualora veda di aver scelto la strada giusta, o cercando soluzioni alternative quando invece le giocate vengano bloccate a più riprese.
Nell’alto e altissimo livello tutto è studiato nei minimi dettagli, rotazione dopo rotazione; il palleggiatore conosce in anticipo quale avversario ogni suo schiacciatore si trova davanti. Durante il gioco sicuramente il confronto con l’allenatore può poi permettere al regista di correggere ulteriormente il tiro nel momento in cui qualcosa non vada.
Altro elemento che offre una marcia in più al palleggiatore è la capacità di avere occhi un po’ ovunque, per leggere tutti i movimenti attorno a sé. E poi essere “neutrale” nel suo gesto tecnico. Ovvero non dare al muro avversario segnali che possano essere interpretati per muoversi in anticipo, così da “smarcare” i compagni e rendergli la vita facile.
Quattro chiacchiere con Riccardo Sbertoli, palleggiatore dell’Allianz Milano
Cosa ti piace del tuo ruolo? Quali sono invece gli aspetti negativi?
Del mio ruolo mi piace il fatto che sei sempre tu a gestire l’attacco della squadra, quindi per me è molto intrigante cercare di capire come attaccare gli avversari; immaginarsi come loro cercheranno di difendersi dalla tua squadra e di conseguenza cercare di scardinare un po’ le loro tattiche di muro. L’aspetto negativo potrebbe essere che quando le cose non vanno bene, è molto facile finire nell’occhio del ciclone, al centro della critica; perché se la squadra magari fa fatica ad attaccare o comunque non ha un grande rendimento in attacco, spesso il primo imputato è il palleggiatore, o comunque viene dichiarato tale. È un ruolo molto delicato: il palleggiatore all’interno di una partita, a parte dal punto di vista delle scelte, tecnicamente dev’essere sempre perfetto e preciso; soprattutto al nostro livello in cui ci sono dei timing particolari, per cui se tu sbagli tecnicamente un’alzata si rischia di non riuscire a concludere.
Che tipo di preparazione viene dedicata al ruolo del palleggiatore affinché possa affinare le proprie capacità e la propria preparazione?
La preparazione del palleggiatore secondo me si divide in più fasi. C’è una preparazione tecnica che è quella che viene proprio con l’allenamento tecnico, nell’esecuzione controllata dei gesti per consolidare il proprio palleggio; un’altra parte della preparazione molto importante al nostro livello è la preparazione tattica. Una volta che si è consolidato l’aspetto tecnico, c’è tutto un altro mondo: conoscere a fondo compagni e avversario. Infine c’è la capacità mentale di lasciarsi delle vie di fuga. Serve una preparazione mentale legata al fatto che durante la partita le cose possano cambiare e si debba improvvisare per adattarsi alle tattiche avversarie.
Il ruolo del palleggiatore è il ruolo che deve trovare intesa sia con l’opposto, sia con l’attaccante ricettore e il centrale per far girare al meglio il gioco. Come si arriva a creare questa affinità? Quanto difficile diventa poi ricrearla una volta che si cambia squadra o i compagni cambiano?
Il ruolo del palleggiatore è un ruolo importante e delicato, nel senso che bisogna trovare affinità con tutti gli attaccanti. Io penso che il modo migliore sia entrare in allenamento e parlare molto per capire dove si vuole arrivare, soprattutto quando si è all’inizio in un nuovo gruppo, con dei nuovi giocatori. Parlare tanto all’inizio per arrivare ad un punto d’accordo, per capire come dev’essere la palla che vuole l’attaccante, che il palleggiatore pensa sia la migliore per lui e poi cercare di lavorarci sempre tanto in allenamento.
Penso sia fondamentale, ma non deve durare troppo tempo; perché una volta che gli schiacciatori e i palleggiatori hanno deciso quale palla attaccare e come dev’essere, non serve ogni volta star a discutere di “com’era la palla? Un po’ più alta, un po’ più bassa…”. Tutti e due lo sanno già. Poi è ovvio che nel corso del gioco e della stagione ci possono essere dei momenti in cui qualcuno è più in difficoltà e quindi che le cose non vengono benissimo; però una volta che c’è chiarezza sicuramente è molto più facile recuperare eventuali situazioni.
Quali sono i tuoi obiettivi per il prossimo futuro?
I miei obiettivi sono concludere al meglio la stagione con Milano, perché credo che questo gruppo se lo meriti; perché abbiamo lavorato tantissimo durante l’anno, in mezzo a mille difficoltà e ne siamo sempre venuti fuori tutti insieme e molto bene. Sullo sfondo, che non è neanche un futuro troppo lontano, spero nelle Olimpiadi ovviamente, che è il mio sogno da quando ero bambino.
Che messaggio ti senti di mandare a tutti quei giovani che guardano a te e ai tuoi compagni di reparto come modelli a cui rifarsi?
Ai giovani palleggiatori direi sicuramente di lavorare tanto. Lavorare tanto sulla precisione per consolidare il gesto. E successivamente di iniziare ad esplorare tutto quel mondo che magari da fuori non si vede: quello della tattica, dello studio dell’avversario, che secondo me è veramente la parte più bella del nostro ruolo.
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foto di PowerVolley Milano e Volleyball Waves