Giugno 29, 2021

Miriam Sylla, capitana dell’Italvolley. Nata per combattere

Giacomo Magnani

«Vai a Orago? Tu? Tu vai a Orago a riempire le borracce», mi disse. È stata la sfida. Ce l’ho ancora qua, ’sto ragazzo. Mi sono giurata che gliel’avrei fatta vedere. Io sono qui, adesso sogno di vincere lo scudetto e un giorno di giocare le Olimpiadi con la maglia dell’Italia.

È il 2015. Le parole di Miriam Sylla all’Eco di Bergamo sono una sentenza. Il tricolore è arrivato e così i cinque cerchi, nel 2016, a Rio de Janeiro. Ora anche Tokyo è vicina, ma nessuno le aveva detto, e nemmeno lei lo avrebbe mai immaginato, che questa volta sull’aereo per il Giappone ci sarebbe salita da capitana della Nazionale.

Un premio per la sua energia, per la sua tenacia, per la forza e la volontà di combattere che mostra ogni giorno. Miriam, d’altronde, è dovuta crescere in fretta. Gliel’ha imposto la vita, gliel’ha imposto la storia dei suoi genitori, scappati dal loro paese d’origine per costruirsi una vita diversa. Quello dei Sylla, infatti, è un racconto che inizia da lontano, a più di 7mila chilometri di distanza.


C’era la neve, soltanto la neve

Abdoulaye Sylla parte da Abidjan, città della Costa d’Avorio, alla volta dell’Italia. Un paese dove «puoi sognare in grande» gli dicono. Dove raccogliere soldi e certezze con cui costruire una famiglia e regalare un futuro radioso ai propri figli. Ma la realtà è completamente diversa.

Niente lavoro, niente soldi, niente letto con lenzuola bianche su cui dormire. L’unica cosa bianca è la neve, gelida, che scende su Bergamo e sotterra le speranze del giovane Abdoulaye, atterrato dall’Africa e costretto a dormire fuori dalla Caritas della città lombarda.

E allora si parte di nuovo, questa volta in giù per lo Stivale, verso Palermo. «Verso il caldo», direte voi. E invece no: Abdoulaye ritrova la neve, più unica che rara in Sicilia, ma con essa scende dal cielo anche il suo angelo custode. Una signora palermitana lo vede in difficoltà in strada e, senza nemmeno conoscerlo, gli offre aiuto sporgendosi da una 500. Lo prende con sé per fare le pulizie in casa, lo porta a mettersi in regola con i documenti. Difficile spiegare cosa abbia spinto la signora Maria e il marito Paolo a legarsi istantaneamente a questo ragazzo in cerca di una mano. E così, la vita di Abdoulaye cambia.

Arrivano lavoro, stabilità, dignità. Finalmente anche la sua futura moglie, Salimata, nazionale di pallamano, può raggiungerlo in Italia. L’8 gennaio 1995, poi, nascerà la loro primogenita: Miriam.

Abdoulaye, però, ha un conto in sospeso con il Nord. E uno dei fratelli di Salimata, discreto calciatore stanziatosi a Lecco, questa volta può aiutarli. I Sylla lasciano Palermo e i loro genitori adottivi, la signora Maria e Paolo, gli angeli custodi che hanno permesso loro di trovare il proprio posto nel mondo. Ripartono quindi da Valgreghentino, un comune di nemmeno 4mila anime in provincia di Lecco, dove Miriam continua a crescere insieme ai suoi fratellini Coumba e Malik.


Voglio vederti danzare

A giudicare dalla grinta e dall’elettricità che Miriam sprigiona in campo, è difficile (se non impossibile) pensare che a scuola fosse una studentessa pacata. E infatti, il banco per lei è come una gabbia: impossibile tenerla ferma. Le note si accumulano sul diario di cui lei strappa le pagine per non farle vedere ai suoi genitori.

Lo sport è il giusto “rimedio” per soddisfare la sua smania di movimento. Può scegliere qualsiasi disciplina: dal rugby al calcio passando all’atletica leggera. Miriam però non sa scegliere: «Volevo diventare ballerina classica».

Quindi la pallavolo, il cui primo approccio è figlio di una minaccia. Quando era in quinta elementare, sua cugina Mariam si impose: «O vieni all’allenamento con me, o non ti parlo più». Sarà il primo di una lunghissima serie.


«Pronto, c’è Sylla?»

Dal Volley Grenta passa alla Polisportiva Olginate, stessa società in cui qualche anno più tardi muoveranno i primi passi anche le sorelle Nwakalor. Poi, un giorno, squilla il telefono. Si possono immaginare le prime parole che arrivano dall’altra parte del filo.

«Buongiorno, sono Giuseppe Bosetti. C’è Miriam?». Succede per davvero: il professore del volley chiama Sylla ad Orago, fucina di talenti. Con Danesi, Parrocchiale, Caterina Bosetti, Perinelli e non solo. Compagne ad Orago prima e Villa Cortese poi, squadra con cui completa il percorso giovanile e vive l’emozione delle Serie A1 grazie a qualche chiamata in una prima squadra ricca di campionesse, tra cui uno dei sui idoli: Taismary Agüero.

Miriam Sylla Orago
Le giovanili di Villa Cortese: quante atlete di Serie A riconoscete?


Bergamo, andata e ritorno

Poi il destino le regala un’occasione che sembra disegnata apposta per lei. Nel 2013, l’allora Foppapedretti riesce a portarla a Bergamo. La stessa città che papà Abdoulaye ha dovuto abbandonare ora offre a sua figlia Miriam l’occasione di imporsi definitivamente nella pallavolo che conta. Un’occasione che viene sfruttata alla grande.

Miriam Sylla Bergamo

Cinque anni intensi, condivisi con grandi giocatrici, in cui arriva non solo il suo primo trofeo (la Coppa Italia del 2015 con Stefano Lavarini in panchina), ma anche la prima chiamata in azzurro. Con Conegliano, poi, domina urbi et orbi: in Italia (due scudetti, tre coppe Italia, tre Supercoppe), in Europa (la Champions League del 1º maggio 2021), nel mondo (Mondiale per club nel dicembre 2019).


Sacrifici

Ma di montagne da scalare a mani nude, Sylla, ne ha salite tante. Come l’accusa di doping del 2017, quando dopo la finale del World Grand Prix in Cina risultò positiva al clenbuterolo. Le analisi, poi, cancellarono l’accusa (quella di Miriam fu contaminazione alimentare), ma intanto il sogno Europei sfumò.

Solo pochi mesi, e un’altra doccia fredda. Mamma Salimata, la sua Wonder Woman, si ammala. All’inizio è Miriam a non trovare le forze. Addirittura pensa di rinunciare al Mondiale del 2018. Ma sarà proprio Salimata a convincerla a salire sull’aereo per il Giappone: per l’Italia la medaglia d’oro sfugge solo al tie-break, mentre per Miriam c’è il premio di miglior schiacciatrice del torneo.

Ascoltare le prime telefonate con mia madre era come assistere allo scontro tra due arieti: giù di cornate a vedere chi ha la testa più dura. «Torno a casa!» «Resta lì che se non ti vedo più giocare sto anche peggio!»

Mi ha spinto al Mondiale e mi spinge ancora oggi. Giocare: volevo solo giocare. Ogni giorno. Una partita ancora. Perché sapevo che lei era davanti alla televisione a guardarmi e che farlo la rendeva più felice, almeno per due ore. Come fanno tutti i bambini del Mondo alle loro prime partite: io volevo giocare perché la mia mamma mi potesse vedere in campo.

Miriam Sylla su the owl post
Miriam Sylla mamma


Giappone, di nuovo

E tra poche settimane, ci sarà ancora di mezzo il Giappone. Questa volta per giocarsi qualcosa di ancora più grande di un campionato mondiale. Caccia a una medaglia, quella olimpica, che sarebbe di storica importanza per il volley femminile italiano. Una medaglia da dedicare a sé stessa, alla sua famiglia, a sua mamma che dal dicembre 2018 vive nel suo cuore e nella sua mente.

Avete capito che in questa storia, il talento, c’entra ben poco. Perché è stato il passato a forgiare il carattere di Miriam Sylla. Un passato fatto di sofferenza, sacrifici, voglia di emergere. Una mentalità vincente che ora anche la spedizione azzurra di Tokyo dovrà provare ad assimilare. Cercando di farsi ispirare da una ragazza nata per essere capitana.