Maksim Michajlov: il braccio armato della Russia
Dalla Russia, ma con dolore.
Potrebbe essere questo il suo biglietto da visita. In fin dei conti, lui è uno che in campo è sempre stato un simbolo della gloriosa tradizione della fu URSS. La tradizione di partorire giocatori capaci letteralmente di prenderti a frustrate da ogni posizione e verso ogni fetta del campo.
Maksim Michajlovič Michajlov ha sempre avuto tutto per essere una sorta di incarnazione della fu Armata Rossa, a partire dalla città di nascita: Kuzmolovsky, poco fuori Leningrado.
A Leningrado, dal 1941 al 1944, uno degli assedi più terribili e cruenti della Seconda Guerra Mondiale, gli abitanti furono lasciati morire di fame dall’anello dell’Asse chiuso attorno alla loro città. 800 mila su tre milioni di abitanti morirono. Ma non cedettero. Alla fine, al costo di quasi 2 milioni di vittime tra civili e militari, ruppero l’assedio, distrussero i tedeschi.
Non cedere dicono sia qualcosa che hai nel sangue da quelle parti. Lui ne è la prova, in un certo senso lo fa da sempre pur stando in teoria in un ruolo che chiede solamente di mazzolare quel pallone e tanti saluti. Perché nella sua lunga carriera, questo ragazzo si è sovente trovato costretto a fare ciò che fecero i suoi nonni: adattarsi alla situazione.
La Russia ci ha sempre donato fuoriclasse del posto 2. Fomin, Jakovlev, Dijniekin…poi venne il turno di quel Poltavskij che pareva avere una frusta al posto del braccio. Allucinante per chi se lo ricorda in campo, quasi quanto era matto fuori.
Poi è arrivato Max, che più che nato pare essere stato stanziato militarmente. Lui già da tempo si è guadagnato la fama di opposto più forte della sua generazione, uno dei più forti che si siano mai visti, capace però di essere ad un tempo classico e rivoluzionario in campo. Il che, contando quanto importante è la tradizione in Russia, quanto poco sovente son stati capaci di andare avanti e oltre certi schemi, non è cosa da poco.
203 cm per 103 kg, che quando è l’ora di fare male, arrivano a fluttuare in aria 360 cm da terra. A muro può arrivare ai 340 cm. Roba da alieni. Ma non è solo il fisico a fare di Maksim un pericolo pubblico, il fuoriclasse che è, quanto un bagaglio tecnico, una confidenza, che si accompagnano ad una grande adattabilità, a spirito di sacrificio, ad una forza mentale unica.
Dal 2003 al 2010 fu utilizzato quasi sempre nella posizione di schiacciatore – ricevitore per lo Yaroslav, la squadra che lo scoprì e in cui crebbe fin da giovanili, e dove arrivò una corazzata chiamata Zenit Kazan e dire che lo volevano con loro. Questo nel 2010. Avevano del resto già capito che slegato dai doveri della seconda linea, messo a fare la Katiuscia in posto 2, poteva essere ancora più devastante.
Ciò che abbiamo visto in questo ultimo decennio, ci dice che è stata una grande scommessa vinta. Michiajlov si è portato a casa qualcosa come ben 7 titoli del campionato russo, 6 Coppe di Russia, 7 SuperCoppe, 1 Mondiale per Club e soprattutto ben 5 CEV Champions League. Cinque. Roba da capogiro.
Senza ombra di dubbio c’è moltissimo di suo nei successi di quella corazzata che ha dominato il panorama internazionale, sostanzialmente senza rivali, e di cui è ad oggi il simbolo per eccellenza. Come quasi ogni pallavolista russo che si rispetti, Max non ha mai voluto lasciare la sua madre patria. Che sia per patriottismo o per attaccamento non è dato sapere, ma di certo sarebbe stato bello vederlo qui da noi, nel campionato che anche lui non ha problemi a definire il più importante.
Perché Michajlov è senza ombra di dubbio un giocatore che sa combinare una tecnica d’attacco sopraffina con una fisicità assoluta. Al contrario di tanti altri opposti, si è dimostrato molto forte a muro, presente in seconda linea, memore del suo percorso iniziale come laterale; cosa che risultò decisiva in quella finale delle Olimpiadi di Londra 2012, che ancora oggi è leggenda.
Chi la vide si ricorda di due set iniziali dominati dalla nazionale carioca, mix riuscito di veterani che avevano già vinto tutto e di giovani di enorme prospettiva. I carri russi avevano il motore ingolfato, non si passava, ormai tutti pensavano che il Brasile non potesse fare altro che vincere, con la stessa naturalezza di sempre, con lo stesso gioco sfavillante di sempre.
Poi Alekno, il coach russo, in preda alla disperazione, fece due mosse a dir poco azzardate. Spostò dal centro in posto 2 un certo Dmitrij Musėrskij, 2 metri e 18, e ancora oggi tutti concordiamo che fu la scelta che più di tutte cambiò il match. Ma pochi ricordano quanto importante fu avere Michajlov in posto 4, dove si fece valere in ogni fondamentale, fu il collante con cui la Russia ritrovò un assetto, schiacciò i brasiliani. Fu rimonta e vittoria al tie break.
Certo Musėrskij mise giù ogni pallone, ma Max fu capace di dimostrare che sapeva soffrire, giocare per la squadra, fare il lavoro sporco, essere decisivo anche in un momento così difficile.
Non fu un caso che venisse poi premiato come Miglior Realizzatore e Miglior Attaccante.
La sua storia nella Nazionale del resto, è sempre stato segnata da vittorie, fin dai giovanili. Si è preso sempre il peso di una nazionale si talentuosa e fortissima, ma anche (da sempre) discontinua.
Oltre all’oro a Londra, può vantare il bronzo preso a Pechino, l’oro d’Europa del 2017 e 2013, due bronzi un argento e un oro in World League, la Coppa del Mondo 2011, ed assieme, una valanga di premi individuali. Ben 25 quelli che Max si è visto assegnare nelle competizioni con la sua nazionale.
Difficile fare un confronto con i grandi del passato, ma di certo non si può negare che una bella fetta di storia della pallavolo russa salti assieme a lui ogni volta che scende in campo.
Allo stesso modo, è fuor di dubbio che prima di trovare un giocatore altrettanto forte e completo in quel ruolo, altrettanto continuo, se ne dovrà aspettare parecchio di tempo. A meno che da Leningrado non spunti qualche altro discendente di gente mai doma…
Sono 33 oggi. Tanti auguri Maksim Michajlov.
Il braccio armato della Madre Russia.