Luca “Bazooka”: l’arma antimuro della pallavolo italiana
Uno come lui non si era ancora visto in Italia. Uno come lui ci serviva in campo come l’aria da respirare. Perlomeno se si voleva vincere, se si voleva competere con le corazzate che dettavano legge a quel tempo: la Russia, la Jugoslavia, il Brasile, gli USA, Cuba…
Luca Cantagalli, 2 metri (i pignoli diranno 199 cm), su un corpo da boscaiolo, spalle come una porta; eppure contemporaneamente snello, un fisico alla Clint Eastwood per così dire. E in effetti a Dirty Harry Luca è assomigliato spesso in campo; se infatti nella mano del fu Callahan ruggiva una Magnum, il braccio di Luca non era da meno.
Bazooka. Questo il nome di battaglia. Il che già di per sé era tutto un programma su cosa dovevi aspettarti da questo ragazzo nato a Cavriago, frazione di Reggio, dove a lungo le milizie di Parma cercarono di subentrare con ferocia. Per tutto il medioevo e rinascimento ci si prese a cannonate e spadate mica poco da quelle parti, e in effetti qualcosa di quella “tendenza” era in campo con lui, da sempre.
Pochissimi schiacciatori sono stati più temuti di Cantagalli a quel tempo. Oggettivamente era un’epoca piena di giocatori molto tecnici, atletici. Lui non era solo questo però; lui portava in campo una potenza e una fisicità che lo rendevano sovente inarrestabile.
A oggi è il sesto miglior scorer della storia della nostra Serie A, con qualcosa come 8398 punti. I primi li mise giù proprio a Cavriago, nella squadra della sua città, che lo lanciò in prima squadra dopo la trafila dei giovanili. Tutti i suoi compagni facevano pallavolo; lui seguì il flusso, poi scoprì che era nato per questo sport, a dispetto dell’asma che lo avrebbe inseguito per tutta la vita.
Nella stagione 1980, Luca vestì per la prima volta la maglia di quella Panini Modena, dove sarebbe diventato qualcosa di più di un semplice giocatore: sarebbe diventato il condottiero, il simbolo, uno di casa, la bandiera. Anzi, il Sindaco, come ancora oggi è ricordato.
Dieci anni. La sua incredibile crescita personale e sportiva coincise con la crescita del movimento italiano. Mentre lui vinceva quattro scudetti, la Coppa Campioni, la CEV, le Coppe Italia, qualcosa si muoveva: una nuova generazione si affacciava alla ribalta, in azzurro ma non solo. Il nostro campionato diventò in breve sempre più competitivo, il “miracolo economico” degli anni ’80, del Nord-est, fornì nuova linfa: franchigie storiche si videro tallonare dalla “nuove arrivate”, i settori giovanili sfornarono assi che avrebbero reso grande il tricolore.
Di quei Fenomeni, lui fu un tassello fondamentale fin dal 1986, anno in cui diventò stabile la sua presenza. Quando Julio Velasco cominciava a cambiarci pelle e fisionomia lui era lì, lì nel mezzo; era il braccio armato della Rivoluzione per così dire.
C’era anche lui in quel 1989 quando, per la prima volta, l’Italia finì davanti a tutti, contro la Svezia padrone di casa, al termine di un grande Europeo. Luca si trovò però in difficoltà: nel finale di match dovette cedere il posto ad Anastasi. Fu qualcosa che avrebbe dovuto affrontare anche l’anno dopo, nella mitica finale dei Mondiali del ’90 contro gli uomini di El Diablo.
I cubani lo presero di mira subito col servizio, cercarono di toglierlo di mezzo; sapevano che con lui in campo erano dolori. Velasco fu costretto anche qui a cambiarlo, ma stavolta Luca non cedette, non permise agli avversari di mettergli i bastoni tra le ruote. «Quando entrò – ricorda sempre Velasco – era una furia».
La vittoria in quel mondiale, coincise con il suo passaggio alla Sisley Treviso, a causa dei problemi economici che coinvolsero Modena in quel periodo. Cantagalli per tre anni prestò servizio presso i veneti; fu parte di un collettivo che pose le basi per quel dominio che a fine decennio e inizio millennio avrebbe fatto degli oro-granata una delle compagini più iconiche di questo sport. Si portò a casa due Coppe Cev e la Coppa Italia.
Ma il richiamo di casa era troppo forte: casa è una sola, il vero amore è uno solo. Lui lo sapeva e ci tornò di corsa, nella città di Pavarotti e Guccini; tornò ad essere il Sindaco di Modena. Per cinque anni guidò i gialloblu ad altri due scudetti, tre Coppe Italia e ben tre Coppe Campioni di fila, che di certo lo aiutarono a superare anche le cocenti delusioni in azzurro di quegli anni.
Si perché a Barcellona ’92 la nazionale fece flop; ad oggi molti dei protagonisti parlano di una mancata maturazione mentale, a dispetto di quella tecnico-tattica. Due altri ori europei, il trionfale mondiale del 1994, dove fu assoluto protagonista. Oltre all’ace finale contro i temuti Orange, momento iconico e storico del nostro volley che ci regalò il secondo mondiale, Luca fu devastante in ogni momento di quella manifestazione.
Purtroppo due anni dopo, anche lui dovette fare i conti con la bruciante sconfitta di Atlanta ’96, che lo portò per diversi anni a tenere nel cassetto l’argento della finale. Non fu certo l’unico di quel collettivo a non aver accettato, per molto tempo, il finale di una rassegna che parve stregata.
Nel ’98 lasciò ancora Modena, pare per sempre, per andare nell’emergente realtà palermitana, guidarla alla vittoria della CEV; poi però ritorna ancora una volta, la terza, a casa. Dal 2000 al 2004, arriva un altro scudetto. Infine le ultime due stagioni le passa tra Taranto e i Lupi di Santa Croce. Lì però arrivò anche, a 40 anni, una sospensione assurda per doping, legata ad uno spray nasale per l’asma che usava da anni; un guazzabuglio di errori burocratici tra Federazione e società dove alla fine ci finì di mezzo lui, pur senza aver colpe. Classico casino all’italiana, che lo portò al ritiro. Avrebbe meritato un finale ben più rispettoso.
E infatti avvenne: all’All Star Game del 2006 si tolse la giacca elegante da telecronista ed entrò a sorpresa in campo, sostituendo Hristo Zlatanov, per l’ultima battuta della sua carriera. Tra l’ovazione del pubblico di Montichiari.
Nel 2008 il suo esordio in panchina come Vice dell’Under 20; poi a Massa, a Reggio Emilia. Negli ultimi due anni è tornato a casa sua, a Modena, dove è diventato parte integrante del nuovo progetto Gialloblu. Solo una delle tante prove della sua poliedricità, testimoniata del resto anche dalla sua Carnoteca, a Carpi, per chi ama la carne, quella buona davvero. Del resto, chi se non un predatore di razza poteva starci lì dentro?
In campo ora c’è suo figlio Diego (21 anni) che, un mese fa, ha deflagrato il record di punti in una partita di serie A2 maschile: 46.
Per Luca, intanto, sono 55 oggi. Tanti Auguri Bazooka.