Gennaio 16, 2021

«A fianco di chi lotta per la vita». La storia di Jack Sintini

Giulio Zoppello

Non perdete mai la speranza, perché il sole può tornare a splendere. Io l’ho visto, ce l’ho fatta, e io non sono nessuno, sono una persona normale

JACK SINTINI

12 maggio 2013, gara 5 della finale scudetto di Serie A maschile: Piacenza contro Trento. In campo ci sono campioni allucinanti, pronti a dare il loro meglio per giocarsi il titolo. Dopo un’intera stagione e ben quattro gare, entrambe le compagini si conoscono bene; naturale quindi che il match sia combattutissimo ed estenuante.

I “Rossi” di coach Monti schierano in campo Samuele Papi e Hristo Zlatanov in posto 4, un giovane Luciano De Cecco e “Fox” Fei come diagonale di posto 2; i centrali sono l’americano Max Holt e il colosso cubano Robertlandy Simon, con Davide Marra a indossare la maglia da libero.

Trento sfodera Osmany Juantorena e il “Kaiser” Kaziyski in banda, entrambi all’apice atletico della loro carriera. Jan Stokr opposto, Lele Birrarelli e Mitar Djuric al centro, il libero di mister Stoytchev è Max Colaci.

Ma la sorpresa è al palleggio: c’è un ragazzo che nessuno pensava sarebbe mai stato chiamato a giocarsela in campo. Uno che è appena uscito dall’inferno e che però, tutti si chiedono, chissà se reggerà la pressione di un match del genere…

Avrebbe dovuto essere Raphael Oliveira a palleggiare per Trento, come sempre; ma ha rimediato una frattura scomposta alla mano destra in gara 4. Niente da fare. Il destino dei trentini è nelle mani di un ragazzo romagnolo nato a Lugo, 34 anni prima: si chiama Giacomo Sintini, ma per tutti è Jack. E sarà lui la variabile impazzita, il jolly di quel match.


Prima di raccontare il finale della storia, facciamo un passo indietro.

Stagione 2010-2011. Jack Sintini ha da poco trovato un accordo con il Jastrzębski Węgiel, club di punta del prestigioso campionato polacco, dopo aver passato l’ultima a stagione a Forlì, dove era già stato ad inizio millennio.

La pallavolo Jack l’ha conosciuta da ragazzino; Ravenna del resto dista poco da casa sua, è lì è quasi una religione. Ha cominciato a farsi notare al Porto Ravenna, poi più avanti dopo Forlì arriveranno Sisley Treviso, ben sei anni a Perugia, con due alla Lube a fare da intervallo, prima di provare anche il campionato russo.

Jack Sintini è un ottimo palleggiatore. 197 cm, un fisico magro e asciutto, reattivo nonostante la mole; un regista preciso, regolare, che a muro si fa sentire, che fa benissimo le cose semplici e molto affidabile. Doti grazie alle quali è diventato protagonista anche in Nazionale, in un periodo in cui al palleggio servono alternative per sostituire i veterani delle glorie anni 90. Proprio con gli azzurri ha vinto lo storico europeo in casa, quello di Roma 2005 con Cisolla MVP, della finale contro i Russi.

L’anno dopo arriverà lo scudetto con la Lube, ad aggiungersi a due Cev, due SuperCoppe italiane… ma perché non vincere anche in Polonia, dove nessuno sport è più popolare del volley?


Improvvisamente, in quel marzo 2011, fa capolino uno strano e persistente dolore alla scapola destra. Subito Jack pensa ad un infortunio; poi però, dopo alcuni giorni e due crisi insopportabili (una in piscina e una in un bar), decide di fare degli accertamenti. Il responso è agghiacciante: linfoma non Hodgkin al sistema linfatico, al quarto stadio. Il trasferimento salta, e per Jack comincia una gara terrificante contro un male che, gli dicono i medici, ha già aggredito ossa ed altri organi.

Per Sintini inizia un durissimo braccio di ferro contro la malattia: le sedute di chemioterapia lo sfiancano, dimagrisce in modo incredibile, il dolore diventa sempre più forte. Da 90 chili, arriva a pesarne meno di 70, la chemio viene “appesantita”, quella iniziale non basta. Nei momenti di maggior sconforto, accarezza anche l’idea del suicidio. Alla fine si sottopone a un autotrapianto di midollo. Per quattro giorni non riprende conoscenza. Quando si sveglia, gli dicono che il peggio è passato, che da quel momento può ritornare a pensare al domani.

Giacomo Sintini, dopo un anno di cure e sofferenze allucinanti, di paura e ansia, ha sconfitto la malattia. La prima cosa che fa è farsi togliere la pensione di invalidità: ha ricominciato ad allenarsi, piano piano i chili son tornati, i muscoli sono ricresciuti. Vuole tornare a giocare.

La sua forza di volontà viene premiata, gli ridanno l’abilità come giocatore e Trentino Volley decide di offrirgli un contratto; serve un vice per Raphael, ora che Zygadlo se n’è andato. Jack può guardare con fiducia al domani.


Il domani è quel 12 maggio 2013. Dopo aver esordito il 14 ottobre 2012, Jack ha continuato ad allenarsi, ma neppure lui si aspetta quella responsabilità, quella finale.

Non se lo aspettavano poi tanto neanche gli avversari, dopo tutte quelle partite passate a studiare e seguire le mani del regista carioca. Jack gioca in modo diverso, diverso è il suo apparto a muro, il suo modo di battere; diversa è anche la carica agonistica di uno che poteva anche non esserci più quel giorno.

Anche per questo non ha paura di quella responsabilità, che è un dono, un piccolo dono del cielo.

Dopo 2 ore e 15 in cui ha dato tutto e in cui ha permesso ai suoi attaccanti di esprimersi al meglio, è in posto 1 quando Samuele Papi spara fuori la palla che ferma il punteggio sul 15 a 12 per Trento. Tutti si mettono a correre, lui e Stokr cadono in ginocchio quasi contemporaneamente, poi Jack si accascia con la fronte per terra. Ha vinto lo scudetto. A fine match, gli viene dato il premio di MVP della finale.

Quando il telecronista Alessandro Antinelli, microfono in mano, gli chiede di dire qualcosa, dopo aver dedicato alla famiglia e ai medici la vittoria, il suo primo pensiero è per chi sta affrontando lo stesso male dal quale lui è riuscito a scappare: «Voi sapete dov’ero un anno fa: io credevo che non sarei neanche riuscito a sopravvivere. Adesso sono campione d’Italia. Non voglio sembrare melodrammatico, però lo dico a tutte le persone ammalate di cancro: non perdete mai la speranza, perché il sole può tornare a splendere c…o. Io l’ho visto, ce l’ho fatta, e io non sono nessuno, sono una persona normale».

Per Jack Sintini arriveranno altri trofei. La Coppa Italia, il Mondiale per Club, la Supercoppa… ma nulla probabilmente supererà mai quella vittoria.
Jack scriverà un libro, Forza e Coraggio, sul suo percorso e la sua lotta contro la malattia; poi fonderà l’associazione Giacomo Sintini, che raccoglie fondi per la ricerca su leucemie e linfomi.

Cerco di confortare raccontando la mia storia. Cerco di infondere agli altri la stessa fiducia dalla quale sono stato circondato.

L’ultima, importante, raccolta fondi si è conclusa qualche giorno fa: 19.677,64 euro per un progetto in collaborazione con l’ospedale di Ravenna, probabilmente per il reparto pediatrico.

Quei soldi sono stati raccolti per onorare la memoria di suo fratello Tommaso, scomparso tragicamente il novembre scorso a soli 44 anni. «La speranza – ha scritto Jack sulla sua pagina – è di tentare di realizzare qualcosa di valore dalla terribile tragedia che ce lo ha portato via».

Sono 42 oggi. Tanti auguri Jack, il ragazzo che non ha mollato mai.

Jack Sintini