Gennaio 18, 2021

Il grande viaggio di Gian Paolo Montali, il Golden Boy della pallavolo

Giulio Zoppello

La curiosità è la mia benzina e il mio serbatoio è pieno anche quando non devo partire. Ho imparato che senza non c’è conoscenza, non c’è sapere. Se non oltrepassi il limite, se al contrario dell’Ulisse dantesco non doppi le colonne d’Ercole, non hai niente da insegnare.


Lo ha scritto in uno dei suoi libri, quello che preferisco e che ho letto di più: “Scoiattoli per Tacchini”. Che messo così pare uno di quelli scritti da un concorrente di Masterchef o simili, da uno di quelli che si è fatto imprecare dietro da Bastianich: «Vuoi che muoroo????»

Sbagliato, l’ha scritto lui quel libro: Gian Paolo Montali da Parma, classe 1960, il Golden Boy del volley, il più giovane allenatore di sempre a vincere su una panchina della Serie A.

L’anno era il 1986, la Maxicono Parma era agli ordini di quell’ingiustamente dimenticato profeta della perfezione chiamato Skiba; uno a cui dobbiamo una bella fetta del sogno dei Fenomeni di Velasco.

Maxicono Parma

Gian Paolo Montali comincia con le giovanili dove per 4 anni consecutivi, a Parma, vince lo scudetto Juniores. Tra quei ragazzi in rampa di lancio c’era anche Andrea Giani.

«È iniziato tutto un po’ per gioco – ha raccontato Montali ai microfoni di Rai Sport – perché io in realtà nella vita dovevo fare tutt’altra cosa. Studiavo medicina e chirurgia: dovevo fare il medico».

Chi di dovere lo guarda, lo studia, capisce cosa si nasconde dietro quella faccia un po’ così da 26enne; gli affida le redini di una corazzata che ormai con Skiba non pare più in grado di progredire.

Qualcuno scrive, si chiede, se non si siano bevuti il cervello. Come puoi mettere un ragazzo così giovane su una panchina così pesante? La risposta la dà lui dopo pochi mesi: vittoria in Coppa Italia e non contro una squadra qualunque, ma contro gli arci-rivali della Panini Modena.

Velasco in quegli anni crea la cultura dell’alibi, la specializzazione, rivoluziona metodologie, stravolge la mente dei suoi giocatori, il modo di stare in campo, di guardare a se stessi e agli avversari. Gian Paolo Montali è connesso ma anche indipendente a questo corso: il suo regno è fatto di tecnica, tattica e di una comunicazione che vanno di pari passo, sono sorrette da un grande amore per la sperimentazione, per il cambiamento.

Giani Parma

A Parma lo fa vedere da subito, come sa creare, cucire assieme gruppi, mostrare loro un sogno, unire collettivi coesi e votati al sacrificio come pochi altri. Nessuno con la sua metodologia, probabilmente. Crede nel lavoro quotidiano, nell’atteggiamento, nella ripetizione fino all’ossessione, crede soprattutto nel non fermarsi dietro le apparenze, i luoghi comuni, le frasi da spogliatoio trite e ritrite. A Padova nel 2004, in un convegno, lo sento smontare la storiella che vuole la grinta, la determinazione come spiegazioni della sconfitta, come balsamo con cui risolvere ogni post-partita.

«Guardiamo i dati, guardiamo la tecnica, tutto nasce da una difficoltà non compresa, da un elemento che sul campo non ha funzionato. Poi la mente segue quel buco nero». Il che suona solo apparentemente strano detto da uno come lui, così bravo a comunicare. Invece no.

A Parma viene confermato a furor di popolo. La squadra è giovane e cresce anno dopo anno, nonostante le frustranti finali perse contro Modena. Durante la sua ultima stagione è composta da nomi che, ancora oggi, fanno rabbrividire gli appassionati: Andrea Zorzi, Andrea Giani, Marco Bracci, Renan Dal Zotto, Claudio Galli, il giovane palleggiatore Carlo Alberto Cova, il campione olimpico americano Jeff Stork, Raimondo Della Volpe, Andrea Aiello, Gilberto Passani, Luca Panizzi, Mauro Radiconi.

E il 9 maggio 1990, con la vittoria per 3 a 1 proprio al PalaPanini di Modena, arriva lo scudetto. È il quinto titolo di una stagione leggendaria che verrà ricordata come Grande Slam: Mondiale per Club (contro Cska Mosca), Coppa delle Coppe (contro Sisley Treviso), Coppa Italia e Supercoppa Europea.

La sua rivoluzione in quegli anni prende sempre più piede, perché non crea solo un nuovo modo di allenarsi, di stare in campo, di creare in palestra un collettivo coeso ed efficiente. Montali agisce sulla comunicazione tra atleta ed allenatore, concepisce un dialogo non meno personalizzato rispetto ai carichi di lavoro; la mente guida il corpo non viceversa, va curata anche di più da chi sta in panchina. Un messaggio pertanto non è mai neutro, è sempre filtrato dalla personalità di chi lo emette.

Porta queste idee a Schio nel 1990, dopo aver chiuso a Parma, ma nel giro di poco tempo va dove in quegli anni si plasma il futuro del volley italiano: alla Ghirada di Treviso. I Benetton hanno creato una realtà unica lì, hanno fuso assieme rugby, basket, il volley…sono idea nuove, serva una persona nuova, serve Montali.

Sono anni travagliati ma, anche grazie a un mercato lussurioso, Gian Paolo rastrella due scudetti, due Cev, una Coppa Italia, una Coppa Campioni e una SuperCoppa Europea. A Treviso così tanto non avevano mai vinto; la squadra è stata creata per farlo, ha un roster che fa paura.
Gardini, Tofoli, Zwerver, Negrao, Bernardi, Polidori, Passani… ne arriveranno altri, la squadra si misurerà con Ravenna, Modena, Milano, in un campionato al massimo del suo splendore.

Coerentemente con il proprio credo di sperimentatore, di amante delle scommesse e della novità, dopo 5 anni a Treviso Montali si cimenta anche all’estero: va in Grecia nella corazzata dell’Olympiakos.

Vince, prova a cimentarsi con la nazionale ellenica, ma senza materiale adatto è dura combinare qualcosa. Però si rifà di lì a poco; nella capitale, con la Piaggio Roma, agguanta un sogno in cui nessuno credeva.


Lo fa guidando un altro grande collettivo, un’altra grande squadra di campioni, che sorprende tutto e tutti. Grbic, Bracci, Tofoli, Gardini, Hernandez sono i veterani di una formazione che ha anche molti giovani come Saraceni, Fortunato, Paolucci. Contro ogni pronostico, il 17 maggio del 2000, il tricolore è nella capitale, con un numero record di 15mila spettatori impazziti ad assistere alla partita decisiva. Arriva anche la Coppa CEV.


Lo chiamano in un’altra grande città, a Milano, dove vogliono ritornare a sognare. Ma, a parte una finale scudetto, fino al 2003 il successo pare essere diventato terra straniera. Poi succede che arriva la chiamata.

La panchina azzurra è l’ovvia successiva destinazione. L’epoca dei Fenomeni sta volgendo al termine. Anastasi (suo predecessore) ha vinto, ha creato le basi per adattarsi alla nuova pallavolo, che sta diventando sempre più veloce e fisica, ma i mondiali del 2002 bissano il deludente bronzo delle Olimpiadi di Sidney. Ora tocca a Gian Paolo.

Montali guarda, osserva, capisce. Nel giro di pochi mesi porta, contro ogni pronostico, la nazionale italiana in finale contro l’insopportabile Francia per l’Europeo 2003. In banda mette due tecnici come Cernic e Papi, si affida alle giovani mani di Vermiglio e al braccio sinistro di Sartoretti, Mastro e Fox Fei al centro, Pippi è il libero.

La finale è pazzesca, i francesi hanno Antiga, Samica, Granvorka, Henno, Capet… emerge lo spirito indomito e adattabile dei ragazzi di Montali, la sua visione di gioco in cui si studia ogni mossa al millesimo: la battuta tirata con attenzione su obbiettivi precisi, il limitare gli errori, il sistema muro-difesa paziente e l’attacco che alterna coraggio a, nuovamente, pazienza.

Si vince 3 a 2, si zittisce chi lamentava l’assenza di bombardieri ai lati.


Arriva Atene 2004. L’Italia può contare anche su Giani in posto 4, sui giovani Cisolla, Simeonov, Tencati. Si arriva in finale, ma qui il Brasile di Giba e Ricardinho ci ferma.

In quell’istante, in quel confronto con una pallavolo che va mille all’ora, che tira ogni battuta alla morte, gioca pipe e primi tempi fregandosene del realismo, nella foga atavica, si avverte per la prima volta un antidoto al suo volley ragionato e compassato, che va come un diesel, un passista su due ruote.

L’argento contro i fenomeni carioca brucia moltissimo, ma solo l’anno dopo Gian Paolo Montali fa il suo capolavoro. Negli Europei di casa, guida un collettivo fantastico a dominare una Russia a dir poco spaventosa per potenza e fisicità. Poltavksij è una frusta che non si ferma mai, Kazakov ed Egorcev al centro due torri assurde, Abramov e il veterano Tetjuchin paiono troppo in giornata, serviti da un Usakov sempre messo in condizione di esprimersi al meglio dal libero Verbov.

Partiamo bene il primo set, poi però i russi mettono il turbo e ci asfaltano letteralmente nei successivi due parziali: pare di vedere certi incontri di boxe a senso unico. Montali fa i cambi, calma la mente dei titolari e fa l’unica cosa che può fare: aspetta. Aspetta che i russi si siano stancati, abbiano dimenticato che non si hanno energie infinite, siano diventati prevedibili, che i suoi si ricordino ciò che gli ha insegnato; non puoi usare la forza per uccidere un orso, usa la forza dell’orso per ucciderlo.

Cisolla, Cernic e Fei la smettono di fare a botte col muro, lo usano, gli azzurri si mettono a far carambola coi russi, li sfiancano, li costringono ad attaccare 3,4,5 volte per fare punto. A poco a poco li innervosiscono, li stancano, poi cominciano a colpire nel momento giusto, toccano a muro, sporcano, distruggono il loro gioco, la loro mente.

Quella dei russi e del loro coach non regge. Quella dei ragazzi di Gian Paolo Montali e la sua sì.

3 a 2, oro in casa, l’ultima vera grande vittoria del volley azzurro e sono passati 16 anni.

Pare ieri vero? Roma in giubilo, Gian Paolo che prende il microfono e ringrazia, Mastro a petto nudo, Cernic in lacrime… tutto perfetto.

Gian Paolo Montali pallavolo


La gloria è un attimo, la felicità e un momento, oggi diventa ieri, il domani è tiranno. Si spera di iniziare un nuovo ciclo. Invece va malissimo nella World League e Mondiali del 2006. Così così nella prima fase, poi tutto naufraga nella seconda, finiamo distanti dal podio, giocando male, con un collettivo che si è perso, un gioco troppo soft. Ne scaturiscono pesanti polemiche con i dirigenti della Lega Volley, Diego Mosna e Massimo Righi.

Improvvisamente ci rendiamo conto che Anastasi, con il suo servizio tirato a tutta, la sua pallavolo aggressiva e fisica, aveva capito cosa sarebbe successo; solo era arrivato troppo presto.

La pallavolo di Gian Paolo Montali, quel servizio sovente gestito e tattico, quel muro in lettura, viene schiacciata dai nuovi panzer bulgari, dai soliti brasiliani, dai russi, dai francesi. Hanno trovato schiacciatori di 2 metri, tirano a tutta, vanno a 100 all’ora sempre in ogni fondamentale e senza sbagliare. In pochi mesi naufraghiamo.

Gian Paolo Montali

Non manca, forse, qualcosa nei singoli? Anche. I giovanili sono poveri, abbiamo un buco generazionale. Certo Zlatanov e Simeonov ignorati gridano vendetta, ma la realtà è che semplicemente, come succede a generali o condottieri, ciò che funzionava ieri, nel domani è già passato. A Rocroi nel 1643, la Spagna scoprì che il suo tercio con cui aveva conquistato il mondo, non serviva più a niente, rimase senza esercito in poche ore. All’Italia succede nel mondiale del 2006 e poi nella World League ed europeo del 2007.

Il clima in squadra è difficile, il rapporto con Vermiglio si fa teso troppo spesso, non si riesce a trovare la svolta. Ci accorgiamo che, per esempio, giochiamo al centro ogni morte di Papa rispetto agli altri; che a forza di parlare di difesa e toccare a muro, non abbiamo un cambio-palla fluido e che senza quello, nella pallavolo di oggi, non vai da nessuna parte. La pipe la giochiamo poco e male, siamo prevedibili, e non è sempre la finale di Roma; non puoi sempre pensare che ce la farai facendo a rimpalli. Siamo auto sportive contro quelle della Formula 1, abbiamo una battuta che non fa mai male, il muro si è evoluto altrove, è diventato opzionale e preventivo, la lettura non funziona più. Finiamo fuori dal podio per quattro volte di fila.

Montali chiude con la pallavolo. Coerentemente con il suo mettersi in gioco, porta la sua filosofia di coaching, di gestione dei gruppi e dello spogliatoio, dei progetti tecnici in altri mondi e lidi.

Scrive, insegna, è Consigliere di Amministrazione nella Juventus, poi nel 2009 va alla Roma, come Coordinatore Generale e ottimizzatore nelle Risorse Umane. Nel 2011 diventerà anche Direttore Generale e Operativo. Ci saranno poi il golf e tanto altro, ma per tutto e tutti, per chi ama il volley, Gian Paolo Montali è stato uno dei più grandi profeti. Un innovatore di successo in un’epoca particolare, capace di portare un nuovo regno della mente, il concetto di dialogo e sperimentazione, farci guardare tutto da un altro punto di vista.

Forse la destinazione non stata quella che sperava o speravamo, ma di certo il viaggio è stato uno spettacolo.