Febbraio 12, 2021

Earvin Ngapeth: i 30 anni dell’Enfant terrible della pallavolo mondiale

Giulio Zoppello

Ha fatto degli errori e lui lo sa. Ma è una persona con un cuore gigante: spero che altri possano vederlo

BRUNO REZENDE

Il futuro pare parlerà modenese per lui, ancora una volta. Si può dire che in realtà non se ne sia mai andato, non abbia mai veramente smesso di essere un gialloblu e che la curva, il club, la città, non abbiano mai perso fiducia nel fatto di riaverlo ancora una volta.

Earvin Ngapeth, figlio d’arte, non è mai stato un giocatore, un ragazzo come gli altri. Già ai tempi dei giovanili nel Poitiers, si era capito che aveva delle qualità non comuni.

194 cm, non tantissimi oggi come oggi per uno schiacciatore top. Certo, a meno che quello schiacciatore non abbia altro da mettere sul piatto: Earvin su quel piatto ci ha messo qualità atletiche assurde. E poi talento, tecnica, cattiveria agonistica, un estro a dir poco esagerato.

Non si era mai visto uno come lui nella pallavolo dei nostri giorni, un personaggio simile. Una banda capace di rivoluzionare il suo ruolo. Se oggi in una palestra ti esibisci in un colpo a bilanciere, schiena alla rete, stai imitando Ngapeth. Se finti un attacco per poi alzare al compagno, stai giocando “alla Ngapeth”.

Earvin ha poi sovvertito il concetto di diagonale. Si era sempre pensato che, con questo termine, si intendesse quella tra palleggiatore ed opposto. Lui invece ha creato quella tra palleggiatore e banda, lui e Bruninho: il palleggiatore assieme al quale, dal 2014 al 2016, fece vedere un’intesa incredibile in campo.

Ma, sovente, ci si dimentica che per entrambi, specialmente per Ngapeth, l’incredibile è sempre stato una costante. Al Tours si era mostrato in tutta la sua promettente capacità di essere quel qualcosa in più, quel quid che oltralpe sovente pareva dato per perduto; l’erede della generazione di Samica, Antiga, Granvorka, colui che poteva riportare in alto i blues di Francia.

A Cuneo lo avevano preso ancora ventenne. Poteva reggere la pressione della nostra Serie A? Certo che poteva. Poteva anche fare altro: diventare mattatore, dominatore.

Ngapeth Cuneo

Per ben due anni in Piemonte mostra in campo il meglio del suo talento. Ma anche i lati più oscuri e incontrollabili. Ha dei picchi mostruosi, ma ogni tanto è come se il computer si imballasse, la macchina andasse fuori giri. Troppo schiavo della giocata? Si anche, una costante nella sua carriera, quasi il prezzo da pagare per il suo rischiare sempre il tutto per tutto, per il suo modo di divere il volley così viscerale ed intimo.

Imprevedibile, imprendibile, da Cuneo se ne va verso sponda russa, verso il Kuzbass. Ma i rubli non bastano per compensare il vuoto esistenziale che vi trova, anche se lì allena il padre. Torna senza rimpianti in Italia.

In quel 2014, a 23 anni, Ngapeth mette letteralmente il turbo. A Modena trova quel ragazzo brasiliano che crede anche lui nella pallavolo fatta di velocità, imprevedibilità, di follia come normalità in campo. Trova quella città dove la pallavolo è religione così come lo è per lui. Ed in campo Earvin diventa il corrispettivo di un Harlem Globetrotter, con la differenza che invece di farlo per esibizione e per gioco, lo fa sul serio, nel campionato più duro del mondo. Attacca di destro, di sinistro, fa la catapulta, tira sassate o avvelena la palla dal servizio, ubriaca di finte il muro per smarcare i compagni, difende di tutto, riceve di tutto, provoca, irrita, stupisce. Diventa il nuovo Dio di una tifoseria unica nel suo genere, che attendeva il capo-banda che li portasse all’arrembaggio di un Campionato per troppo tempo stregato e preda di altri.

Arriva la Coppa Italia il primo anno, arriva la finale contro Trento. Ma Trento oppone all’estro di Earvin e alla pallavolo showtime gialloblu, l’esperienza della concretezza; ha una corazzata di gente che sa come si vince e come si dominano certi spiriti maligni. Modena e Earvin ci provano, si dannano l’anima, impegnano severamente Trento, vincono gara due, ma non basta.

Mancano forse altri nomi pesanti? Forse. Ma no, forse è anche il primo anno di una rivoluzione del gioco. Rivoluzionare e vincere subito è privilegio di pochi.

L’anno dopo invece è l’anno buono. Arriva un’altra Coppa Italia e un’altra finale scudetto. Stavolta c’è Perugia, e tre gare di cui la seconda e terza tra le più belle viste in una finale. L’ultima proprio a Modena, in casa. Earvin si esalta, fa letteralmente il terremoto in campo. Combatte con chi, dall’altra parte, ha un altro caratterino docile: Atanasijevic, che manda sulla rete il pallone che vale il 12° scudetto per Modena, che torna Tempio del volley.

Il momento più magico della sua carriera quel 2015-16. Ha poi vinto l’Europeo, affondando con un bilanciere sul match point della finalissima la sorprendente Slovenia di Giani.

Ha vinto anche la World League: i primi trofei internazionali della storia pallavolistica transalpina; è tutto pronto per l’Olimpiade di Rio, per inseguire la leggenda. La Francia è favorita come non mai.

Invece a Rio i galletti affondano. Esordiscono con un tremendo 0 a 3 proprio contro gli Azzurri (0-9 nel primo set). Non superano il girone. E lui affonda più degli altri, lui che parla di complotti, di biscotti. Conferma il difetto di non capire quando fermarsi, quando forse è il caso di non parlare sempre e per forza, soprattutto se non si ha molto di bello da dire.

Perché, ed è anche questo qualcosa di cui bisogna giocoforza raccontare, Earvin è protagonista dentro ma anche fuori dal campo; e non esattamente in modo edificante.

Nel 2010, 19enne, viene cacciato momentaneamente dalla Nazionale da Blain per insubordinazione. Nel 2012 provoca una rissa in un club in Francia, si becca tre mesi di libertà provvisoria. Nel 2014 il suo arrivo a Modena è seguito da polemiche e accuse; in sostanza ha lasciato il club allenato dal padre senza spiegazioni o alcuna motivazione ufficiale.
Nel 2015 finisce nei guai per una presunta aggressione ad un controllore del TGV; verrà poi assolto. Le voci parlano di notti brave, di una vita non proprio da professionista, di libertà che si prende rispetto agli altri dello spogliatoio. I fatti non è che dicano il contrario. Anzi. Novembre 2015: fuori dal Frozen (locale modenese che conosce molto bene), tre amici vedono arrivarsi addosso una Volkswagen scura. A bordo c’è Earvin, li travolge, non si ferma nemmeno; anzi, se ne va lasciandoli lì. Due se la cavano con poco, il terzo quasi ci muore, finisce in rianimazione. Ma non può nascondersi, è conosciuto, quella macchina è una macchina della società, ci vuole poco a fare due più due. Ma comunque passano tre giorni prima che si costituisca. E quei tre giorni gli vengono rinfacciati dal mondo, generano anche una polemica velenosa col campione del mondo e telecronista “Lucky” Lucchetta. Nel 2017 gli ritirano la patente, dopo averlo beccato sempre fuori dal Frozen con un tasso alcolemico quattro volte sopra. Non sorprende molto: “Visto il personaggio” dicono i più ostili. “Visto il difficile momento che sta vivendo” dicono altri. Nel 2019 finisce in questura in Brasile, accusato di molestie e aggressione verso una ragazza a Belo Horizonte; lui parla di aver confuso la persona con un’altra, di un gesto che non si rifà alla sua educazione, di una vicenda esagerata. Con i tempi che corrono, si poteva evitare.


Anche l’addio a Modena è stato turbolento. Catia Pedrini, la presidente, decise di mettere assieme tre tipetti tranquilli come lui, Bruno e l’ex Generale di Trento: l’allenatore Radostin Stojcev. Come tutte le grandi scommesse, poteva andare molto bene o molto male. È andata molto male.

Sostanzialmente i tre sono inconciliabili; tre capibanda in un posto che si e no ne regge uno. A novembre già si è agli insulti e alle male parole. Ngapeth vola a Kazan. La stagione si conclude con un ammutinamento di squadra.

Il che fa sorgere un dilemma non da nulla per lo “sport differente”. Esiste un limite deontologico tra dentro e fuori la palestra nel volley? Di colpo la pallavolo, non a causa sua ma anche a causa sua, sdogana comportamenti, protagonismi e polemiche tra tifoserie, presidenti, allenatori e atleti. C’erano anche prima? Si. Ma non a questo livello e lui spesso è in mezzo. Il volley diventa sempre più simile a quel calcio di cui ha sempre schifato li peggio delle liti da branchi, risse verbali tra bulli. Casus belli, sdoganatore del peggio? Forse.

Eppure i suoi compagni di squadra si sono sempre spesi in sua difesa. Il che non è un particolare irrilevante. Se davvero Earvin fosse quel mostro che alcuni lo dipingono, chi gli sta seduto a fianco in spogliatoio se ne sarebbe dovuto accorgere.

E invece… Ecco cosa ha detto di lui Bruno Rezende, capitano del Brasile e di Modena Volley, durante il nostro podcast LungoLinea.

«A volte facciamo dei pregiudizi senza vivere con le persone. Lui è una persona con un cuore gigante. Spero che altri possano vederlo e capirlo. È facile avere con lui un rapporto di amicizia. Prova sempre ad aiutare quelli che sono intorno a lui. Ha fatto degli errori nella sua vita e lui lo sa; però come persona e come compagno di squadra è uno dei migliori che io abbia mai avuto. Spero che altri possano vederlo e capirlo».

Ha raccontato a LungoLinea il suo compagno di squadra Salvatore Rossini:

«Per 4 anni ho diviso con lui lo spogliatoio. Capisco chi lo critica, perché ha uno stile particolare a ha fatto degli errori. Ma, se non conosco una persona ed è per sentito dire, io ho cercato sempre di non giudicare. Io, conoscendolo, posso dire che rifarei con lui tanti altri anni. Perché è vero, lui può fare le 7 di mattina ma, innanzitutto, ti invita sempre a farle con lui. E dopo alle 9 è il primo che si arrabbia se in palestra non stai dando il 100%. Ed è proprio così, non è tanto per dire; è quello che mi piace vedere da un compagno di squadra. Il resto per me è sua vita privata».

«È poi una di quelle persone che ti dà tanto anche dentro lo spogliatoio, perché ti fa sentire parte della sua famiglia: c’è sempre stato, è venuto al compleanno di mio figlio quando ha fatto un anno, mi ha portato il regalo. Io per lui ci sarò sempre».


Gli ultimi anni a Kazan lo hanno visto affrontare momenti difficili, compreso il Covid, manco a farlo apposta è diventato il paziente zero a Tatarstan, 15 giorni in isolamento e tanta paura. Ha vinto, ma meno di quanto si aspettasse in Russia; ora torna in Italia e torna anche la stessa domanda: chi è davvero Earvin Ngapeth?

Il giocatore lo conosciamo ed è impossibile non amarlo e ammirarlo per ciò che fa in campo. L’uomo rimane un mistero, avvolto però in una nebbia che sa di tristezza e anche di un dolore antico, che non trova valvola di sfogo e neppure quella maturazione che da un ragazzo che ne ha passate tante (per errori suoi) ci si aspetterebbe, così come da un padre. Davvero si può e si deve scindere? Si. Ma fino a dove? A quando? I paragoni con altri assi dello sport tormentati sicuramente sono importanti, ma rimane anche il dubbio che più che una spiegazione, da parte di chi lo sostiene a spada tratta, sia soprattutto una giustificazione.

Ngapeth compie 30 anni. Torna in Italia. La certezza è che farà bene a Modena, alla nostra pallavolo, a chi ama questo sport. L’augurio è che faccia soprattutto bene a lui.

Tanti Auguri Earvin. L’Enfant Terrible della pallavolo.

Ngapeth