Novembre 16, 2020

Cardona, Gato, Jimenez: tre compleanni per Cuba

Giulio Zoppello

Maikel Cardona, Ramon Gato, Javier Jimenez. Che hanno in comune questi tre? Beh diverse cose. La prima è di venire tutti quanti dallo stesso paese, da Cuba. La seconda di essere pallavolisti. La terza è di essere forti, anzi fortissimi.



Maikel Cardona è stato un simbolo caraibico inimitabile sottorete, uno dei giocatori più forti nel suo ruolo (centrale anche se si è difeso molto bene anche da opposto), dove portava una fisicità spaventosa, una tigna incredibile.

202 cm per un bel centinaio di chili, Maikel era leggenda già negli anni novanta, quando guidava alla carica i compagni con la maglia di Cuba, prima di scegliere anche lui di fare il salto, di venire da noi, in Italia.

Porto Ravanna lo ebbe per due anni a tirare sassate, poi andò a Cuneo per ben quattro stagioni, durante le quali mise le mani su Coppa Italia, SuperCoppa; stupì tutti per l’impatto che poteva avere su un match. Quando in attacco, a muro, al servizio c’era lui, erano dolori. Di quelli veri.

Dopo una breve parentesi a Portorico, tornò nel Belpaese, giocò a Piacenza, Modena, per poi scendere in A2 e vestire la divisa di Latina, Forlì, e tantissime altre squadre. Ha girato tutta l’Italia Maikel; ancora oggi è sottorete, a 44 anni, in quel di Garlasco.

Cardona, per chi l’ha visto giocare, è stato qualcosa di unico, una forza della natura, un carro armato. A conti fatti è giusto anche considerare che in realtà abbia vinto molto meno di quanto il suo talento, la sua forza, avrebbero meritato.

Certamente, era una Serie A terrificante, molto competitiva, in cui nessuno ti regalava niente. Anche squadre di metà classifica erano zeppe di giocatori temibili; ogni domenica era una guerra.

Ma, a modo suo, è stato davvero importante. Lo è stato perché aprì (per così dire) le porte all’ondata di cubani che han contribuito (e ancora oggi contribuiscono) a rendere l’Italia la terra promessa del volley.

Lo stesso si può dire per uno dei più forti schiacciatori che l’isola di Kid Gavillan abbia mai partorito: Ramon Gato.

Se sovente Cuba ha stupito con i suoi colossi, con giocatori dalla fisicità assurda, Ramon invece ha rappresentato qualcosa di diverso, di speciale. Uno schiacciatore che, pur se alto “solo” 192 cm, vantava qualità atletiche e tecniche a dir poco incredibili.

Per chi come me ha avuto la fortuna di vederlo dal vivo, Ramon è stato unico; uno di quelli per i quali valeva la pena spendere i soldi per il biglietto. Rispetto a Maikel è stato meno giramondo: Verona è stata un po’ una seconda casa per lui, il piccolo tempio dove fece vedere cose a dir poco egregie.

Per arrivarci lui, come molti suoi compagni di squadra, ha dovuto sudare parecchio, guadagnarsi il suo sogno in modo alquanto ostico. Sì perché Ramon fu uno di quelli che, in quel 2001 ad Anversa, decise che era il momento di dire basta. Di prendersi il sogno di giocare da professionista, ostacolato da un governo che, dopo avergli permesso di stare un anno a Modena, aveva deciso per una stretta generalizzata.

Scappò, uno dei primi a farlo, uno dei tanti quella sera. Dovette aspettare di scontare una squalifica lunga e odiosa. Poi guiderà Verona alla conquista dell’A1; quell’A1 dove il suo servizio diventò in breve il nemico pubblico numero 1. Ed era solo una delle tante frecce all’arco di questo giocatore funambolico, velocissimo, che negli anni ’90 aveva contribuito a portare medaglie di grande valore a un paese che, per decenni, ha continuato a scontrarsi coi propri talenti in nome di un’ideologia.

E dire che lui persino sul finire della carriera, in Slovenia, dimostrò il suo valore, guidando il Bled ad un miracoloso quarto posto in Champions.

Oggi compie gli anni anche un altro figlio di Cuba, un classe ’89: Javier Jimenez. 198 cm, altro talento incredibile che solo nel 2014 ha ottenuto dal regime (primo nella storia di Cuba) il permesso di giocare all’estero.

Jimenez ha giocato in Grecia al Paok Salonicco per tre anni, in Italia è stato a Molfetta, poi in Argentina, in Estonia. Ora è in Spagna da un anno.
Con la nazionale ha partecipato ai Giochi di Rio 2016, conquistato un bronzo ed un argento ai campionati nordamericani.

Oggi che tutti e tre compiono gli anni infatti. Oltre che far loro gli auguri, bisogna anche ricordarsi che purtroppo il paese che produce i giocatori più spettacolari, talentuosi e predisposti che si possano trovare, è anche quello dove poter fare il professionista è sovente un calvario risolvibile solo con la fuga.

Le tribolazioni di Juantorena, uno che decise di non diventare un esule ma di fare le cose “correttamente”, sono lì a dimostrarlo.

E chissà, se la politica da parte di Cuba fosse stata diversa, come sarebbero andate Olimpiadi e mondiali degli ultimi vent’anni