Alberto Cisolla, pallavolista DOC, poster di una generazione
«Michele Zanin un giorno si avvicinò e mi chiese se mi interessava iscrivermi ad un corso di volley. A pagamento eh…negli anni alla Sisley quei soldi me li ha rimborsati»
Per quelli della mia generazione (e non solo) parlare di Alberto Cisolla significa parlare di un giocatore diverso da tutti gli altri. Non solo e non tanto per ciò che era su quel campo da gioco, ma anche per ciò che rappresentava, che significò per la pallavolo italiana del decennio scorso.
Da molti punti di vista, il Ciso è stato il primo vero pallavolista moderno, inteso come personaggio trasversale; che univa in se la cultura del lavoro, l’etica, l’atteggiamento del vecchio mondo del volley, con una dimensione mediatica, promozionale ma soprattutto fisico-tecnica assolutamente moderna.
Trevigiano doc, prodotto d’eccellenza di quel cantiere fenomenale che fu la Ghirada, rappresentò il fiore all’occhiello di una generazione che oltre che a lui, ha annoverato anche nomi del calibro di Valerio Vermiglio, Dante Boninfante, Cosimo Gallotta, Francesco Biribanti, Giovanni Polidori e tanti altri, cresciuti nella città di Comisso e Herter.
197 cm per oltre 90 kg, che andavano ad altezze siderali, un tempo inimmaginabili per quel bambino che, seguendo l’esempio del fratello maggiore, si trovò improvvisamente dentro quell’enorme Accademia da Cavalieri Jedi dove rugbisti, baskettari e pallavolisti, seguivano lo stesso credo, stavano sotto la stessa bandiera trevigiana.
La Ghirada lo creò. Il resto però ce lo mise lui, adattandosi, passando dal ruolo di opposto a quello di schiacciatore di posto 4, in virtù di fondamentali nei quali si era riversata la conoscenza di uomini come il sopracitato Zanin, forgiati dal doversi confrontare spesso con ragazzi più grandi fin da giovanili, da settimane che vedevano lui e gli altri sacrificare socialità, tempo libero, amicizie dietro quel pallone.
Col tempo, fu anche grazie alla Junior League dell’epoca, alla competizione tra i giovanili mostruosi di quegli anni, che Alberto diventò sempre più frequentemente uno dei ragazzi aggiunti alla prima squadra, e che infine lo vide diventare parte di quel collettivo nella serie A del Volley Treviso dal 1996, venendo allenato da gente del calibro di Kim Ho Chul e Raul Lozano.
Messa così parrebbe tutta rose e fiori, la favola del ragazzo che veste i colori della sua città e diventa un simbolo; ma la realtà è che Cisolla ha dovuto farsi in quattro per trovare spazio, mangiare un sacco di panchina, soffrire anche in azzurro per diverso tempo una competizione altissima (che poi fu uno dei motivi per cui cambiò ruolo).
In realtà, all’alba del nuovo millennio, se ne stava per andare da Treviso. Era ai ferri corti con la dirigenza. Troppe panchine. Già all’epoca gli stranieri venivano sovente preferiti, vuoi perché costavano meno, vuoi perché un po’ esterofili lo siamo sempre stati in questo paese, e la pallavolo non faceva eccezione.
Fu grazie a Lozano che non dovette lasciare la sua città, che cominciò quel percorso che rapidamente lo avrebbe portato a diventare parte di un terzetto composto da lui, Papi e Farina, che avrebbe reso unici quegli anni per Treviso. Per la pallavolo italiana in generale.
Erano anni in cui tanti giocatori cambiavano di ruolo; basti pensare a Fei o Zlatanov, Cisolla in posto 4. All’inizio fu il simbolo di quella volontà di prediligere una banda di potenza e forza rispetto agli schermitori precedenti.
A conti fatti in molti lo indicarono come l’erede di Cantagalli e Bracci, per le pietrate che era in grado di scagliare dall’altra parte, per quell’extrarotazione da manuale, quelle diagonali pesanti, precise, imprendibili.
Ma, negli anni, Alberto Cisolla sarebbe diventato invece non più uno schiacciatore da proteggere in seconda linea, ma un giocatore in grado di fare la differenza sostanzialmente in ogni fondamentale. Anche per questo, indicarlo come il simbolo dell’evoluzione del posto 4, del nuovo che lasciava posto al vecchio modo di interpretare il ruolo, non è affatto sbagliato.
Le sue battute, i suoi attacchi, il muro e la capacità di essere un punto di riferimento in più per le palle che scottavano, ridisegnarono sicuramente gli equilibri di quegli anni.
Si parlava moltissimo, ci si scontrava nei corsi di aggiornamento, tra chi prediligeva una schiacciatore vicino tecnico, da palla veloce com’era Papi (si, lo so, è stato molto più di questo) assieme ad uno distante con una pipe e palla alta pesanti, e chi invece pensava fosse meglio il contrario.
Ancora oggi la diatriba continua.
Di certo il suo arrivò coincise anche con la fase finale dei Fenomeni di Velasco, concretizzatasi con l’Olimpiade di Atene 2004, con quell’argento amaro contro il Brasile di Giba e Ricardinho. Vedere lui e Matej Cernic subentrare in alcune fasi, non sapevamo ancora cosa avrebbe significato per noi tutti da lì a pochi mesi. E dire che Ciso già lo avevamo visto in due World League e Coppa del Mondo, tre podi di tutto rispetto. Ma si dovette attendere Montali per vederlo protagonista: e tutti, credo, ci ricordiamo io dove eravamo quando a Roma la Nazionale vinse l’Europeo 2005.
Credo che tutti anche ci ricordiamo a chi andò il titolo di MVP della competizione: proprio a lui. Lui che avrebbe collezionato 197 presenze con la Nazionale, sarebbe stato innumerevoli volte Capitano, ma nessuna soddisfazione credo nella sua carriera sia stata così importante come quella finale contro i Russi, quel 3 a 2 diventato leggenda della nostra pallavolo; glorificata da una prestazione collettiva pazzesca, che seppe arginare ed infine abbattere la muraglia dell’est.
In quel match Alberto Cisolla fu incredibile. Capace, come i suoi compagni, di risalire la china, di metter giù caterve di palloni quando tutto sembrava perduto, mostrando un sangue freddo e una caparbietà uniche.
A fine anno sarebbe arrivato anche il bronzo nella Grand Champions Cup. Poi però, purtroppo, il ciclo azzurro di Gian Paolo Montali sarebbe andato incontro a un inaspettato e doloroso calo, quasi che il modello e lo stile di gioco fossero improvvisamente superati. A ciò, si aggiunse anche il ricambio generazionale che non riuscì a garantire forse lo stesso livello degli ani precedenti, mentre intanto le altre nazionali continuavano a sfornare campioni a getto continuo, mentre noi mostravamo ogni volta una qualche falla in qualche ruolo.
Sfortuna anche. Tanti infortuni nel momento sbagliato, ci privarono di giocatori importanti, l’usura del campionato più difficile del mondo mostrò il conto.
Ma, in tutto questo, Alberto Cisolla fu sempre lì in campo a dare il suo contributo, così come faceva nella Sisley Treviso, dove in 15 anni vinse 7 scudetti, 4 Coppe Italia, 7 SuperCoppe Italiane, 3 CEV, 2 CEV e 1 Supercoppa Europea. Servirebbe un garage per tenere tutta questa roba; senza dimenticare l’incredibile apporto dato a livello di immagine e promozione, la disponibilità, l’essere stato uomo copertina con tutti gli oneri e lo stress che esso comportava (e comporta).
Nel 2009 l’addio alla maglia azzurra, nello stesso anno in cui salutava la Ghirada. Sarebbero venute poi Lube, Roma, Top Volley, Vibo…oggi è all’Atlantide Brescia. Sono cinque anni che schiaccia nella A2, sovente penso abbia di fronte i figli di ex compagni o di fan, di chi aveva il suo poster in camera (per le pallavoliste di allora, averlo era quasi un obbligo morale).
A 43 anni, Alberto Cisolla continua a schiacciare con quell’espressione un po’ così, con le guance gonfie quando parte la mazzata, con quel braccione che per tanti anni fu simbolo del nostro volley.
Tanti Auguri Ciso, il ragazzo di Treviso, che ha un’unica colpa: quella di illuderci che certe cose belle siano per sempre.