«Protagonisti del proprio percorso». L’avventura di Maurizia Cacciatori
Compie 48 anni una delle pallavoliste italiane più forti di sempre, diva suo malgrado del volley italiano.
Nel suo libro, “Senza Rete”, ha parlato senza filtri della sua carriera, della sua vita, di quel viaggio turbinoso, complicato che ne fece il simbolo di una nuova dimensione della pallavolo italiana. Uno sport di cui lei ha incarnato un profondo cambiamento mediatico, culturale; il segno che anche il ramo femminile, dopo quello maschile, stava uscendo dal piccolo guscio in cui era rimasto per anni.
Maurizia Cacciatori diventò il volto simbolo del movimento: era la “Principessa” della nostra pallavolo, qualcosa che non si era mai visto. Per come stava in campo, per il suo vissuto, la qualità, il talento; ma anche per la personalità, per come appariva e come spezzò in un certo senso, la tradizione di uno sport che di dive, simboli mediatici, non ne aveva avuti mai.
Maurizia piaceva, aveva tutto per piacere. Era alta, bionda e con gli occhi chiari, espansiva in uno sport che sovente era abitato da connazionali e colleghe di ruolo poco appariscenti e comunicative. Aveva un talento incredibile, che l’aveva vista già a 16 anni far armi e bagagli e andare all’allora Sirio Perugia, per esordire in A1. Così giovane, eppure con un futuro chiaro davanti. Era una palleggiatrice di 178 cm, capace di abbinare fantasia con regolarità, di farsi valere a muro e al servizio, senza paura di prendersi responsabilità e di portare uno stile diverso di gioco.
E, caratteristica non da poco per un’atleta, era vincente: dopo un biennio ad Agrigento, sbarcò in quella Bergamo che su di lei basò un progetto tecnico destinato a durate, che la portò stabilmente in azzurro, forte di tre doble scudetto-Coppa Italia consecutivi, più la Coppa Campioni. Nel breve intermezzo a Napoli, prima di tornare alla sua vita a Bergamo, trovò anche il modo di vincere la Coppa CEV.
A modo suo può rivendicare di aver aperto la strada verso un nuovo modo di essere atleta e donna. Ma non fu indolore. Per chi minimizza il problema, beh il libro di Maurizia, ma anche certi articoli, certe gossippate, il clima che la circondò, sono lì a testimoniare il contrario. Fu lei il primo, vero, personaggio che la pallavolo femminile italiana aveva da offrire ad uno stivale che nonostante tutto restava (e resta tuttora) fondamentalmente pallonaro da stadio.
Gli sponsor si erano accorti di lei, i media e le televisioni pure. Ma l’Italia era bene o male quella del Cavaliere, machista, patriarcale; essere belle poteva essere un problema, essere anche indipendenti sicuramente. In poco tempo finì al centro di scoop più falsi dei soldi del monopoli; durante le Olimpiadi di Sidney 2000 su di lei ne girarono di tutti i colori. Illazioni davvero assurde, senza senso. L’Italia è un grande paesotto, voce di popolo – voce di Dio. Maurizia è forte, è famosa, più degli allenatori, più delle compagne. Ma non l’ha scelto lei, è capitato. Eppure anche lì forse, il motivo o uno dei motivi, della grande epurazione di cui rimarrà vittima.
Maurizia Cacciatori e la Nazionale
Il rapporto con la Nazionale è un’epopea gloriosa e tragica allo stesso tempo. Perché la Cacciatori ha contribuito a portare l’azzurro in alto, più in alto di quanto non fosse mai stato. Eppure dall’azzurro è anche stata esclusa subito prima di tagliare quel traguardo che tutti hanno impresso nella mente e nel cuore: il leggendario Mondiale vinto nel 2002.
Molti si ricordano il trionfo. In pochi rammentano invece il percorso con cui ci si è arrivati. La rappresentativa femminile aveva sempre vissuto all’ombra di quella maschile, vincitrice di tre titoli Mondiali consecutivi, ancora ebbra del passaggio della Generazione di Fenomeni di Julio Velasco. Ma la musica stava per cambiare, per sempre.
Arrivò il quinto posto al Mondiale del 1998, con Maurizia premiata come Miglior Palleggiatrice della manifestazione. Arriva il bronzo agli Europei del 1999. O le Olimpiadi di Sydney del 2000: prima qualificazione olimpica mai raggiunta. O l’argento del 2001: prima finale della storia, persa al tie break dopo aver fatto vacillare una Russia considerata imbattibile.
Maurizia è nel pieno della maturità: ha esperienza, classe, professionalità. Si è saputa adattare al cambiamento del gioco, alle nuove tattiche. È il simbolo del movimento femminile, è la Capitana.
Eppure il ct della Nazionale Marco Bonitta, a sorpresa, mette fin da subito in chiaro cosa intende fare della Cacciatori: niente. Quella del coach è una scelta tecnica. «È sempre brutto farlo – dirà Bonitta – ma un allenatore deve fare delle scelte». E lui scelse Eleonora Lo Bianco titolare e Rachele Sangiuliano a supporto come cambio tattico, per la sua altezza e per il suo servizio. Una decisione pesante, chiacchieratissima, che risulterà vincente: a Berlino arriva la storica vittoria al Mondiale. Primo e tuttora unico trionfo planetario dell’Italia rosa.
Per Maurizia è un duro colpo. Per come è avvenuto, per la scarsa comunicazione, per i ripensamenti (l’esclusione, poi la convocazione, poi la nuova esclusione in un’estate tumultuosa). Ma soprattutto per un intero movimento, quello della pallavolo, che per buona parte non vede di buon grado il suo essere personaggio oltre la palestra; che la vede spezzare una specie di “sacralità” che però odora molto di maschilismo, di cultura retrograda, per cui fare un servizio fotografico o una comparsata in tv è il male.
O forse, come ha detto più volte anche lei nel suo libro “Senza Rete”: «C’è un Bonitta in tutte le nostre vite almeno una volta: quel qualcuno che pare programmato per metterti i bastoni tra le ruote, senza un perché reale».
È in quel momento che Maurizia decide di non piangersi più addosso e ripartire. Lo fa dalla squadra spagnola del Tenerife. In Italia le male lingue la danno per finita, una che è stata sopravvalutata, attorniata da campionesse, una che se non fosse stata bella nessuno l’avrebbe considerata. Lei per tutta risposta non solo vince il Campionato spagnolo e la Coppa della Regina, ma anche l’European Champions League.
Pure in questo è una delle prime a spezzare la barriera dei confini nazionali con convinzione, a dimostrazione che non vi è solo l’Italia a sto benedetto mondo. Poi verranno gli anni a Lodi, Arzano, Icaro, così come nella sua vita son venute tante avventure, esperienze. Lei stessa parla con un velo di malinconia ma anche con grande umanità di quelle sentimentali, sulle quali all’epoca un’intera generazione di reporter e giornalisti ci si pagò la casa a seguirne e scriverne.
Poi verrà la famiglia, i figli, il dopo la pallavolo. Si perché Maurizia è stata anche cosciente che non tutto era lì dentro, sotto rete. La vita, come dice sempre lei, la vita vera è quella fuori. È la sua voce come telecronista (da ultimo per DAZN), il coaching aziendale. Soprattutto il rimanere sé stessa. Come ha sempre fatto.
Sono 48 oggi. Tanti Auguri Maurizia Cacciatori.