Febbraio 24, 2021

Bikini vietato in Qatar. Le beacher tedesche boicottano il torneo

Tommaso Dotta

Non andremo alla tappa del World Tour in Qatar. Il governo non può dirci come svolgere il nostro lavoro.

Karla Borger e Julia Sude

Ancora una volta, è lo sport a fornire spunti per parlare di diritti, doveri e libertà.

Per la prima volta il Qatar ospita una tappa femminile del World Tour di Beach Volley. Ma ciò che doveva sembrare una cauta apertura ai diritti delle donne sta tornando nella nuca agli organizzatori come un boomerang, a causa dell’abbigliamento di gara “suggerito” alle atlete.

Niente bikini, ma maglia a mezze maniche e pantaloni lunghi almeno fino al ginocchio “per rispetto della cultura e delle tradizioni locali”.

Di conseguenza, la coppia di beacher tedesche Karla Borger (vice campionessa mondiale) e Julia Sude hanno deciso di boicottare il torneo. Lo hanno fatto sapere in un’intervista sulla testata Spiegel.

«A marzo a Doha ci saranno almeno 30 gradi: il bikini è una necessità – hanno sottolineato -.  Quello è l’unico paese dove il governo locale ci dice come dovremmo svolgere il nostro lavoro, e a noi non va assolutamente bene. E mi chiedo anche se davvero ci fosse bisogno di assegnare una tappa del circuito a una nazione che ha quel tipo di regole».

Sarà interessante capire se altre colleghe si uniranno alla protesta, oppure se rimarrà un caso isolato. Ormai da anni il mondo dello sport fornisce l’occasione per discutere il ruolo della donna nei paesi di fede islamica. In Iran ad esempio, paese in cui la pallavolo è estremamente popolare, a lungo l’ingresso ai palazzetti per assistere alle partite dal vivo è stato concesso solo agli uomini.

Ed è solo un antipasto delle discussioni che sicuramente si solleveranno con l’avvicinarsi dei Mondiali di calcio previsti in Qatar per il prossimo anno, il 2022. Una manifestazione già pesantemente criticata: secondo un’inchiesta del quotidiano britannico Guardian, al momento sarebbero oltre 6.500 i lavoratori immigrati morti nei cantieri realizzati per ospitare la più importante competizione calcistica al mondo. Gli operai deceduti provengono soprattutto da India, Nepal e Bangladesh, ma anche da Pakistan, Sri Lanka, dalle Filippine e dal Kenya e lavoravano in condizioni disumane cercando di rispettare le scadenze.

Foto CEV