Francesco Recine oltre l’altezza. «Mi dicevano: fai il libero»
«Un tatuaggio è dedicato a mio padre. È Mufasa, il Re Leone, riflesso di Simba nell’acqua. Un secondo tatuaggio è dedicato a mio nonno. È un modo di dire cinese che significa: “Un giorno come tre autunni”. Ovvero per quanto sento la sua mancanza, il tempo pare lunghissimo. Poi in un altro c’è il testo di una canzone di Ermal Meta che, in teoria, avremmo dovuto fare sia io che mia sorella; ma lei ha scoperto di essere allergica all’ago, quindi alla fine ce l’ho solo io».
Francesco Recine, atleta Mizuno, per anni si è sentito ripetere che con la sua altezza (1 metro e 85) non sarebbe mai potuto diventare schiacciatore in serie A. In molti gli hanno suggerito di cambiare ruolo, di vestire la maglia da libero.
Oggi non solo gioca attaccante ricettore in Superlega con la maglia della Gas Sales Bluenergy Piacenza, ma è anche Campione d’Europa e Campione del Mondo con l’Italvolley. Una gran bella rivincita.
Cosa ha permesso a Francesco Recine di andare oltre le aspettative, le critiche di chi gli consigliava di volare basso?
«Credo che la mia forza sia anche la mia debolezza. Ovvero io stesso sono la persona più critica nei miei confronti. A volte questa tendenza mi ha permesso di fare un salto in avanti e uscire da situazioni in cui ero bloccato. Altre invece rischia di buttarmi giù. Tanti oggi mi spronano a pensare un po’ meno, soprattutto durante il gioco».
«Mi incendio molto facilmente quando sono in partita. Ciò che mi fa più arrabbiare sono i comportamenti scorretti degli avversari verso i miei compagni. Forse dalla televisione non si è visto, ma durante la finale contro la Polonia sono quasi arrivato sotto rete partendo dalla panchina, perché un avversario ha fatto un po’ il fenomeno dopo un muro su Simo Giannelli. Se lo fanno con me al massimo rido, nervosamente; ma quando questi comportamenti sono rivolti verso i compagni mi si gonfia la vena».
«Dietro le quinte al Mondiale la nostra vita era “monotona” – racconta Francesco Recine -. C’era poco tempo libero e lo si passava per lo più in camera e sul letto. Per scaramanzia scherzavamo: “Dai, da domani siamo a casa e si va in vacanza”. Ma non dimenticherò mai l’aria che è cambiata dopo la partita con la Francia. Con quella vittoria contro i campioni olimpici è scattato qualcosa. Anche guardando le partite da fuori si aveva la sensazione di avere la mano vicina all’obiettivo. In finale credo si sia visto: anche perdendo il primo set, siamo stati quasi sempre in controllo. Mi ha colpito alla fine una dichiarazione dei polacchi: “Abbiamo provato di tutto, ma non c’è stato verso”».