Aprile 26, 2021

Superlega: sorprese e conferme della stagione più strana

Gian Marco Porcellini

La Superlega Credem Banca è terminata da dove aveva lasciato nel 2019, cioè con lo scudetto della Lube. Dopo l’interruzione del campionato nel marzo del 2020, Civitanova si è confermata campione d’Italia, battendo Perugia 3-1 nella serie scudetto. La stessa finale di due anni fa, l’ottava nelle ultime 4 stagioni tra queste due squadre in ambito nazionale (scudetto, coppa Italia e supercoppa), ormai una classica della pallavolo italiana.

Se nel 2019 il trionfo di Civitanova si è rivelato inatteso quanto spettacolare, con la rimonta in gara 5 da 0-2 a 3-2 contro la favorita Perugia, che si era portata pure avanti 2-1 nella serie, stavolta è sembrato più telefonato lo scudetto della Lube, conquistato con relativa facilità in 4 partite dinanzi a una Sir che non ha mai dato l’impressione di poter lottare per il tricolore, neanche dopo aver vinto gara 2 al tie break.

La resilienza di Civitanova

Non è stata probabilmente la serie scudetto più spettacolare; ha vissuto, anzi, momenti di stanca, come l’epilogo di gara 1 e gara 2. Ma è anche comprensibile in una stagione così estenuante, inaugurata già in luglio con i raduni delle squadre (praticamente un mese prima rispetto al solito), caratterizzata da una miriade di rinvii causa covid che ha compresso il calendario negli ultimi 4 mesi e si è chiusa con 2-3 settimane di anticipo rispetto agli altri anni.

Alla fine ha vinto la formazione che ha saputo resistere meglio alle difficoltà – a febbraio Fefè De Giorgi, che un mese prima aveva alzato la coppa Italia, è stato allontanato e al suo posto è tornato l’attuale commissario tecnico della nazionale Chicco Blengini, con il patron Giulianelli che ha parlato di «squadra anarchica» e necessità della famigerata «scossa» – adattarsi alle varie contingenze dei play-off, assorbendo le assenze causa covid di Leal e De Cecco nei quarti contro Modena e la sconfitta con Trento nella prima sfida della semifinale. Come ha detto Blengini dopo gara 3 «fare fatica, soffrire e resistere è normale. Le difficoltà non devono modificare il nostro atteggiamento o farci perdere fiducia».

In altre parole, ha vinto la squadra più completa e con più talento, quella che ha saputo alzare il livello di un fondamentale specifico in un momento specifico della partita. L’impressione è che non abbiamo neanche visto la migliore versione della Lube, ma che in fondo se fosse stato necessario gli uomini di Blengini sarebbero stati in grado di implementare la qualità del loro gioco. Come nel quarto set di sabato, in cui i marchigiani hanno iniziato a tirare su i palloni grazie al lavoro della difesa (il fondamentale in cui i sembrano più umani) anche con Leal e Juantorena, non esattamente due difensori.   

Prima Juantorena mette in crisi la ricezione perugina, poi difende fuori dal campo l’attacco profondo di Leon

Il quarto set di gara 4 ha rappresentato forse il punto più alto della finale, in cui la Sir aveva provato a tornare in corsa dopo aver strappato il terzo parziale, staccando da rete la ricezione dei biancorossi e contenendo con il muro-difesa in particolare gli attacchi in diagonale. Perugia è scappata sul 7-4 e ha impattato sul 14-14, poi però il turno al servizio di Juantorena ha fatto saltare il banco, con due ace e altri due mezzi ace che hanno permesso a Civitanova di prendere il largo (20-14). I numeri del capitano dei cucinieri in questi play-off potrebbero sembrare bassi (47,7% in attacco complessivi), ma andrebbero soprattutto pesati i suoi attacchi e inseriti in un discorso più ampio: in questi 10 anni in Italia sta attaccando con il 54,4% di positività, una percentuale semplicemente insostenibile per qualunque altro attaccante di palla alta.  

Forse Osmany è stato meno continuo in questa post season, specie in ricezione, ma è altrettanto vero che spesso finiscono a lui i palloni più scontati o pesanti. Quelli in cui è una sentenza, grazie alla sua abilità nel rimanere in sospensione aerea, far scorrere il muro e giocare un mani fuori oppure attaccare in diagonale. L’italo cubano è principalmente un diagonalista, ma ha una sensibilità tale da riuscire a leggere il muro difesa avversario e andare in parallela quando gli viene lasciato spazio.

Come se non bastasse, Osmany ha pure due mani e una coordinazione da palleggiatore.

Oltre a Juantorena, l’altra uscita di riferimento per De Cecco su palla staccata risponde al nome di Yoandy Leal. Il cubano naturalizzato brasiliano, con il suo inconfondibile attacco preceduto dal movimento a mulinello delle braccia, ha spaccato in due il campionato, facendo registrare la miglior percentuale offensiva (53,3% tra RS e PO, meglio tra gli altri di Lucarelli e Leon), in barba a chi l’ha accusato in passato di essere incostante. Le ultime due partite della serie rappresentano il suo lascito prima del trasferimento a Modena, tanto che lo stesso Juantorena, eletto mvp di gara 4, gli ha ceduto il premio.

De Cecco si è appoggiato ai due schiacciatori non solo in posto 4, ma nel corso dei play-off anche con le pipe, soprattutto con Anzani e Rychlicki in prima linea. Il palleggiatore argentino, arrivato da Perugia per sostituire un funambolo come Bruno, non può avere lo stesso peso emotivo del brasiliano, ma ha avuto il merito di rendere omogenea la distribuzione. È vero che la Lube può contare su 4 attaccanti di livello mondiale (oltre ai due schiacciatori, Rychlicki in posto 1-2 e Simon al centro) più un centrale molto solido come Anzani, ma De Cecco costituisce a sua volta un’eccellenza nel suo ruolo, capace di smarcare i compagni anche con ricezione – e doppio -, grazie a rotazioni del bacino e tocchi imprevedibili. Ha servito Rychlicki, l’uomo che ha attaccato più palloni nei PO, soprattutto con ricezione positiva e perfetta – da apprezzare la crescita del lussemburghese, che ancora non sarà l’oppostone che mette giù anche le palle più sporche, ma in questo biennio è diventato un giocatore sempre più determinante, anche a muro e al servizio – mentre Simon viene innescato tranquillamente anche con la ricezione nei 4 metri. Tra i due si è ripristinata quell’intesa quasi telepatica creatasi ai tempi di Piacenza, fatta di attacchi spostati e numeri di giocoleria.

In una squadra che forse non ha un vero leader, il cubano è quello che più si avvicina alla figura del trascinatore. Pur essendo centrale, che quindi non è in campo in 3 rotazioni e non necessariamente partecipa a tutte le azioni, Robertlandy riesce a caricarsi la squadra sulle spalle e piegare la partita alla sua volontà nei momenti decisivi della stagione: al di là del match di sabato, in cui è stato limitato bene dal muro perugino, nei play-off ha attaccato con un irreale 72,7%, in ben 4 partite tra semifinali e finali è stato il giocatore con più punti della sua squadra (decisamente inusuale per un centrale), totalizzando persino più punti in attacco di Leal in questa post season.

Perché Simon è il punto esclamativo in attacco (ama schiacciare in extrarotazione spostandosi verso 4 per chiudere il colpo nei 3-4 metri), al servizio (terzo battitore della lega per ace/set) e soprattutto a muro: la sua mole non gli permette di essere sempre esplosivo nelle traslocazioni in 2 e in 4, però in lettura al centro è una sorta di armadio dell’Ikea, capace di coprire 3 metri di campo con la sua figura.

Il centrale è la stella polare di questo fondamentale, che ha funzionato pure a livello globale come fase break (meritano una menzione anche un Anzani sempre più determinante e un Balaso decisivo in seconda linea), soprattutto negli ultimi due turni in cui ha neutralizzato rispettivamente Nimir e Leon, i due top scorer del campionato.

Il drama della Sir Safety Perugia

Se Civitanova ha attraversato e superato più di un momento delicato nel corso di questo 2020/21, Perugia invece, nonostante sia arrivata più o meno in fondo a tutte le competizione (finale di coppa Italia, semifinale di Champions League e finale scudetto), ha vissuto un’annata ancora più turbolenta, spingendosi a cambiare allenatore addirittura nel corso della finale (Sirci dopo gara 1 ha sollevato Heynen e promosso a head coach il suo vice Fontana), a conferma dello scollamento chiacchierato da qualche mese tra il tecnico belga e i giocatori, Atanasijevic in testa.

Il capitano storico degli umbri, probabilmente il migliore opposto dell’ultimo decennio in Superlega assieme a Sokolov, ma protagonista di un decorso complicato dopo l’intervento al ginocchio la scorsa estate (nel 2020 tra l’altro aveva contratto pure il covid). Non sappiamo se i presunti screzi tra Bata e Heynen siano la causa o la conseguenza della sua esclusione sistematica dal sestetto, anche se quando il capitano della Sir è stato chiamato in causa in stagione regolare ha fornito un rendimento lontano dai suoi standard, tanto che l’allenatore ha preferito puntare sullo spostamento di Ter Horst in zona 1-2, con risultati più che positivi per un giocatore che nasce come schiacciatore. La società, che aveva in organico già due opposti, il serbo e l’acerbo Vernon-Evans, oltretutto in febbraio ha assecondato il tecnico tesserando un terzo opposto, il polacco Muzaj, titolare nella selezione allenata proprio da Heynen.

Momenti di tensione fisiologici nel corso di una stagione, anche se è abbastanza insolito davanti alle telecamere vedere un giocatore, Travica, contraddire così il suo coach

Il presidente Gino Sirci, che secondo la Gazzetta già a inizio mese avrebbe contattato proprio Fefè De Giorgi per chiudere il torneo, che avrebbe rifiutato in quanto candidato a guidare la nazionale dopo le olimpiadi, il 15 aprile ha effettivamente allontanato Heynen, lamentandosi per l’involuzione del gioco e per aver visto «troppa gente scontenta».  

Fontana in gara 2 ha rispolverato Atanasijevic titolare (non partiva nello starting six dall’ultima giornata di RS), forse più per il suo peso emotivo che per il peso offensivo, nonostante fosse necessario creare un diversivo a una distribuzione altrimenti troppo sbilanciata su Leon. Il serbo ha sofferto dei passaggi a vuoto comprensibili nella serie, specie quando non aveva la giusta esplosività nelle gambe per attaccare la sua palla preferita, con alzata piuttosto rapida e appena spostata verso il centro da chiudere con una diagonale verso 1-2, anche se ha dimostrato di essere ancora un giocatore sontuoso (ultime due partite rispettivamente al 55% e 66% su 20 e 24 palloni) nonché il totem di Perugia.

Una Sir che nei momenti decisivi si è sbriciolata, dimostrando come non abbia abbastanza qualità diffusa e duttilità per prevalere in quegli scontri diretti in cui servono più opzioni offensive e difensive. Travica non può avere la stessa imprevedibilità e la stessa precisione del suo predecessore De Cecco, ma alla lunga ha rappresentato un limite soprattutto non avere un vero opposto, come delle alternative a Leon e Solè in attacco: al centro gli umbri, che hanno scontato l’assenza di Russo per quasi tutta la RS, non avevano un’uscita credibile oltre ai soliti Solè o la pipe di Leon; in banda Plotnytskyi, pur avendo una buonissima manualità, non possiede quella fisicità per superare il muro con regolarità (appena 45,6% in attacco).  

Con sole 3 uscite è già incredibile che Perugia sia riuscita a vincere la stagione regolare e allungare la finale a gara 4. Questi risultati però ci dicono qualcosa in più sul dominio di Leon in Italia, uno schiacciatore che non può non polarizzare il gioco – e di cui vanno accettati pure gli scompensi che crea in ricezione e in difesa – a maggior ragione in questa Sir.

L’unica speranza per gli umbri per competere per lo scudetto era puntare sul servizio (e in particolare sui turni terrificanti di Leon e Plotnytskyi, rispettivamente secondi e quinti per ace/set) e allungare quindi gli scambi col muro difesa, che con rice staccata sa essere efficace, aggrappandosi in attacco a Leon e Atanasijevic. Magnum ha risposto alla grande, il cubano però in 3 delle 4 sfide non è arrivato al 45%, anche perché si è trasformato nel bersaglio della battuta di Civitanova, che aveva l’obiettivo di colpire l’attaccante più forte e il ricettore più debole, intaccando ulteriormente la regia di Travica. Wilfredo però anche in giornate complicate come quella di sabato è riuscito a mettere a referto 17 punti in 4 parziali; più in generale in questi play-off è arrivato a una media di 22,1 punti a partita, dove ha attaccato addirittura il 33,3% di palloni della sua squadra con il 52,1% di positività.

Solo in gara 2 ha camminato sulle acque (38 punti, compresi 4 ace e 3 muri), in cui ha approfittato di una Lube abbastanza opaca, ben controllata dal muro difesa umbro, con Russo che per una sera ha fatto la voce grossa con Simon. Diversamente gli uomini di Fontana hanno avuto più di un problema, specie in gara 1 e in gara 3, a leggere De Cecco e mettere palla in testa a Travica, il quale ha provato a cercare qualche variazione in pipe, ma senza trovare il giusto timing con gli schiacciatori. L’epilogo era praticamente ineluttabile.  

«Tutte e due le squadre hanno cambiato allenatore, noi abbiamo buttato pure qualche giocatore. Ci sono tante cose che dobbiamo vedere per la prossima stagione, per non rifare il casino di quest’anno» si è sfogato Leon dopo gara 4, quando ha parlato ai microfoni di Rai Sport assieme a Simon, suo ex compagno di nazionale.

Al di là delle sensazioni contrastanti tra vincitori e vinti, quest’intervista, così come quella a Juantorena e Colaci, ha trasmesso quasi un senso di liberazione che ha accomunato tanto i giocatori di Civitanova quanto quelli di Perugia dopo che è caduta l’ultima palla (il delicato tocco di seconda di De Cecco) che ha decretato la fine di una stagione snervante e straniante, vista l’assenza del pubblico sugli spalti. Un’annata in cui, nonostante tutto, la Superlega ha resistito anche alla pandemia.      

L’altra Superlega

Perché alla fine il campionato italiano si è confermato il torneo più competitivo al mondo. Più della Superliga russa e della PlusLiga polacca, le realtà più vicine alla nostra per contenuti tecnici. Certo, una squadra (Sora) ha rinunciato all’iscrizione, le società hanno dovuto allestire la stagione pur non potendo contare sulle entrate del ticketing, con un presumibile disimpegno di almeno una parte degli sponsor – la presidente di Modena Catia Pedrini a inizio aprile si è lamentata di come Legavolley non abbia tutelato i club (Pedrini nel comunicato ha parlato di ricavi più che dimezzati a fronte di un aumento dei costi del 10%) – mentre sul campo tra ottobre e gennaio hanno dovuto affrontare una serie di positività al covid-19 che ha portato al rinvio di ben 20 partite tra regular season e play-off. Una situazione che ha spinto la lega a bloccare in itinere le retrocessioni e riorganizzare i play-off, con ben 11 squadre su 12 ammesse alla post season proprio per salvaguardare il movimento in un anno condizionato da tutti questi fattori, che inesorabilmente hanno minato il regolare svolgimento del torneo.

Ma al netto di tutte queste problematiche, che lasciavano presagire scenari ben peggiori, il campionato italiano è riuscito a esprimere una buona pallavolo: anche se le big hanno incontrato varie difficoltà in regular season, è sembrata una Superlega addirittura livellata verso l’alto, dove la classe media si è inserita nel vuoto lasciato da Modena, l’unica tra le grandi ad essersi ridimensionata. La società emiliana – quella con i maggiori incassi dal palazzetto – ha smantellato un roster potenzialmente da scudetto, liberando, al di là di Bednorz e Holt, anche giocatori con il contratto per questa stagione come Zaytsev e Anderson, non andando oltre il settimo posto in regular season, che ha denotato una preventivabile difficoltà nel mettere giù palla.

Holt si è trasferito in una Monza sempre più ambiziosa malgrado la pandemia, che già nel 2019 aveva ingaggiato l’opposto campione del mondo con la Polonia Bartosz Kurek, mentre nell’ultimo mercato ha tesserato tra gli altri anche Pippo Lanza in uscita da Perugia. I brianzoli, che a inizio anno hanno esonerato il tecnico Fabio Soli, sono comunque venuti fuori in corso d’opera, chiudendo la RS in quarta posizione, grazie ai 23 punti ottenuti nel girone di ritorno. La Vero Volley si è segnalata come la squadra con più muri punto/set tra stagione regolare e play-off, 2,41, e una discreta profondità di organico (al centro coach Eccheli ha fatto ruotare Holt, Beretta e Galassi, in banda gli ingressi di Davyskiba hanno dato slancio al servizio e respiro all’attacco), ma soprattutto ha messo in mostra il talento di Adis Lagumdzija.

Inflazionato questo pezzo degli Snap!, ma con Lagumdzija sembra calzare proprio a pennello

Nonostante fosse all’esordio in Italia e nonostante i 22 anni, Lagumdzija si è abbattuto come un meteorite sul nostro campionato grazie alla violenza dei suoi colpi, manifestando oltretutto una buona maturità nei fondamentali: dominante a muro (miglior muratore tra gli attaccanti di palla alta con 0,46 muri/set), incisivo in battuta e risolutivo in attacco (47,5% di positività su 32,64 palloni a partita), dove sfrutta i 211 centimetri e una buona varietà di traiettorie. Se cresce la sua continuità nel corso dell’anno, il futuro opposto di Piacenza potrebbe candidarsi davvero a next big thing del volley internazionale.

In post season Monza si è spinta fino alle semifinali, in cui ha messo in difficoltà Perugia più di quello che recita lo 0-3 finale. Una serie che ha rilanciato l’ex Pippo Lanza (53,5% complessivo in attacco su 23,6 palloni di media), in cui però probabilmente i brianzoli hanno pagato la precarietà della peggior ricezione del campionato (0,11 di efficienza): nello specifico è saltato Dzavoronok, l’anello debole della seconda linea. La ricezione del martello ceco – teoricamente l’uscita principale in posto 4 – oltre a condizionare il suo rendimento offensivo, ha impoverito la creatività di Orduna, che è stato quasi costretto a tagliare i centrali dalla distribuzione, sebbene Holt e Galassi in stagione si siano mantenuti sopra il 60% in attacco. Nei quarti invece Monza aveva superato al tie break di gara 3 l’altra sorpresa di questo 2020/21, la Tonno Callipo Vibo Valentia.

Un’altra formazione frizzante, potenzialmente in possesso di 4 soluzioni offensive a ogni scambio, che ha stupito soprattutto nella prima parte dell’anno, in cui è stata capace di andare a vincere in casa di Trento e Civitanova. I calabresi hanno chiuso il girone d’andata al quarto posto, salvo poi terminare la RS in quinta posizione a pari punti con una Piacenza protagonista di un’annata movimentata, tra l’esonero di Gardini in settembre, l’infortunio di Grozer in dicembre e vari movimenti di mercato a stagione in corso che hanno costretto Bernardi a ridisegnare il sestetto. I biancorossi hanno disputato comunque un buon play-off scudetto, rischiando di vincere gara 1 dei quarti con Trento, salvo poi cedere al quinto set e perdere gara 2 al quarto. L’obiettivo nel medio termine, se ha davvero la disponibilità economica per inserirsi nella lotta al vertice, sarà definire un’identità che deve passare necessariamente attraverso una certa continuità tecnica.  

Dall’altra parte del tabellone invece un’altra squadra che vorrebbe salire di livello, Milano, è riuscita a portare a gara-3 dei quarti Perugia, togliendosi anche la soddisfazione di conquistare la Challenge Cup. Nel primo turno della post season i meneghini avevano invece eliminato Verona, una delle grandi delusioni di questo 2021/21, appena 23 punti in RS nonostante l’eterno Matey Kaziyski che i rumors di mercato danno vicino a un ritorno a Trento.

Come valutare la stagione di Trento?

Difficile valutare invece l’annata degli uomini di Lorenzetti, anche perché devono ancora disputare la finale di Champions League contro i polacchi dello Zaksa. In caso di successo si tratterebbe del decimo trofeo internazionale della storia trentina, che riscatterebbe con gli interessi un 2021 da cui era lecito aspettarsi almeno una finale tra coppa Italia e scudetto. A maggior ragione dopo la campagna acquisti sfarzosa – grazie a cui pareva aver azzerato il gap da Civitanova e Perugia – scandita dall’arrivo di Nimir in posto 1-2, l’attaccante di palla alta della Superlega con più punti e muri del 2019/20, Podrascanin al centro da Perugia e in particolare dello schiacciatore Lucarelli, uno dei perni della nazionale brasiliana degli ultimi 10 anni.

In realtà Trento ha scontato un avvio complicato, condizionato dal focolaio covid scoppiato a fine novembre, ma nel ritorno ha cambiato passo (28 punti su 33 disponibili e una sola sconfitta), trascinato da un Lucarelli sempre più centrale e incontenibile: nel girone d’andata ha attaccato 15,18 palloni a partita con il 41,9% di posività, tra ritorno e play-off ha svoltato completamente, con il 56,6% su 20,05 attacchi a partita.

La squadra di Lorenzetti però ha mostrato una certa distanza dalle altre big nei momenti topici dell’anno: in semifinale di Coppa Italia si è sciolta (0-3) sotto le battute di Perugia, in semifinale scudetto ha recuperato gara-1 con la Lube grazie a un sorprendente colpo di reni (da 1-2 a 3-2), ma nelle 3 partite successive ha conquistato appena un set.

Trento nei suoi picchi, quando riesce cioè a mettere palla in testa a Giannelli e trova dei riferimenti a muro, probabilmente è ingiocabile per chiunque. Il problema è che soprattutto negli scontri diretti è difficile trovare continuità nei vari fondamentali, in primis in ricezione e in attacco. Sono quelle partite in cui diventa necessario interpretare pure quelle fasi sporche e interlocutorie, dove bisogna lavorare con il muro difesa o attaccare con palla scontata.  

Da questo punto di vista i gialloblù probabilmente hanno meno margine della Lube, oltre che una ricezione più precaria. Complessivamente nella semifinale hanno ricevuto meglio (21,3% di rice++ contro il 17,5% dei marchigiani), però diventano meno efficaci nel cambio palla già con ricezione positiva, dove il gap si è assottigliato molto (39,5% per i trentini, 38,3% per i cucinieri). In più Giannelli è un palleggiatore meno creativo rispetto a De Cecco, che su palla lontana da rete prova a eludere il muro spingendo il gioco, anche a costo di sacrificare la precisione dell’alzata. Nello specifico il palleggiatore della nazionale ha pagato il fatto di non avere una terza uscita in palla alta credibile su cui appoggiarsi: Lorenzetti ha alternato Kooy e Michieletto in posto 4, ma senza che nessuno dei due potesse rappresentare un riferimento stabile in attacco. Per l’olandese naturalizzato italiano (che ha già vestito la maglia azzurra in occasione della coppa del mondo 2019), il 2020/21 ha assunto la forma di una corsa a ostacoli, tra la positività al covid in novembre e la distrazione al retto addominale tra dicembre e gennaio che gli ha fatto saltare buona parte del girone di ritorno. L’ingresso di Kooy in gara-1 delle semifinali si è rivelato un fattore nella rimonta di Trento, ma nelle sfide successive è stato condizionato da una prova deficitaria in ricezione.   

Una potenziale crisi si è trasformata però in una grande opportunità per Alessandro Michieletto. Lo schiacciatore mancino è stato infatti la grande scoperta di questa Superlega: nonostante non abbia ancora 20 anni, si è inserito bene nel sestetto, offrendo un buon contributo in ricezione (24,6%++ e 47,6%+). Per caratteristiche predilige la diagonale, anche se ancora è comprensibilmente acerbo nel leggere il muro e alle volte sembra quasi timoroso nel chiudere il colpo. Ha comunque l’altezza (205 centimetri) per crescere in attacco, a muro e, perché no, prendersi una maglia da titolare per le olimpiadi.

Al fianco di Juantorena per una volta il commissario tecnico Blengini ha più di un’opzione, anche se nessuno ha avuto un rendimento così superiore agli altri e nessuno sembra fornire garanzie in termini di continuità: oltre a Kooy, competitor nel club come in nazionale, Lanza a Monza, al netto dei play-off, ha confermato la parabola discendete della sua carriera, Lavia probabilmente è il profilo più completo, anche se dopo la stagione positiva di Ravenna era lecito augurarsi uno step in avanti a Modena (solo 43,7% in attacco), mentre Antonov a Piacenza ha fatto panchina. Tornando ai play-off di Trento, il vero elefante nella stanza però è stato il crollo di Nimir, passato dal 53% in attacco della RS al 43,1% delle fasi finali. L’olandese si è dimostrato ancora una volta un’arma impropria al servizio (primo per ace/set in RS e terzo nei PO), i cui break hanno permesso spesso di recuperare situazioni di svantaggio, ma ha faticato a passare con il muro biancorosso, che ha costruito la serie orientandosi su di lui. Nimir e Giannelli non sono riusciti a trovare un sincro accettabile nella serie: l’ex Milano vorrebbe una palla con una traiettoria lunga e rapida per esaltare il suo tempo di attacco e la velocità di braccio, invece il palleggiatore si è ritrovato ad alzare spesso vicino a posto 2 e senza quindi la possibilità di dare parabola all’alzata e all’opposto di prendere una rincorsa adeguata.   

In estate però il club di Mosna per motivi economici potrebbe perdere Lisinac e Lucarelli, malgrado il brasiliano abbia un altro anno di contratto. Bisognerà capire a questo punto se l’Itas sarà costretta a rivedere al ribasso i suoi obiettivi e più in generale come il movimento saprà reagire a un intero campionato senza spettatori e senza dunque entrate dal botteghino, che inevitabilmente hanno aggravato i bilanci dei club di Superlega.