Arbitri e forma fisica: la protesta di Martina, la risposta della Fipav
Tutto è cominciato da un post su Facebook.
Lo ha pubblicato Martina Scavelli, annunciando le sue dimissioni dal ruolo di arbitro di Serie B, per protestare contro le limitazioni dei parametri antropometrici.
Cosa vuol dire, in soldoni?
Che gli arbitri di pallavolo sono sottoposti a controlli per calcolare valori previsti di BMI (indice di massa corporea) e circonferenza addominale. Avendoli superati, a fine stagione Martina sarebbe stata “retrocessa” nei campionati regionali. Oltre a dover rimanere ferma fino al raggiungimento dei parametri stabiliti.
Potenza dei social network, la protesta tramite Facebook di un singolo arbitro è diventata virale, raggiungendo una platea talmente vasta di persone (e successivamente le maggiori testate giornalistiche) da spingere la stessa Federazione Italiana Pallavolo e pubblicare una replica sul proprio sito.
Ma cominciamo dall’inizio.
Il post di Martina Scavelli
«Egonu, tu sei nera, IO SONO GRASSA!»
L’incipit del post è provocatorio: tira in mezzo Paola, che sulla questione non si è mai espressa, ma le discriminazioni sono l’argomento che al momento accende gli animi, in particolare dopo il monologo della campionessa al festival di Sanremo.
«Non sopporto più di essere misurata e pesata come si fa con le vacche! – scrive Martina Scavelli – Lo sport dovrebbe unire, anziché emarginare. E io non voglio più essere messa all’angolo per qualche centimetro o qualche chilo in più!».
«Le regole sono regole, io le ho accettate e le rispetto ma non vuol dire che siano sacre e immutabili. Ho operato al servizio della Federazione dal 2007, con grande senso di responsabilità, devozione e disciplina; sono sempre stata consapevole dei regolamenti legati all’attività di arbitro e ho mantenuto un comportamento scrupolosamente osservante delle regole, anche in merito ai parametri antropometrici. Mi sono sempre autodenunciata nel momento in cui ho realizzato di superare i parametri imposti, mi sono sempre autosospesa. A oggi, però, non sono disposta ad accettare che una carriera fondata sui sacrifici e sul massimo rispetto possa essere “calpestata” da imposizioni del genere che non prevedono soglie di tolleranza».
«I parametri sono fuori norma, certo, ma di poco. Un poco che non scalfisce la qualità del mio servizio. Come se tre dita in più sul mio girovita potessero mettere a rischio una partita di pallavolo che, tra l’altro, non prevede che l’arbitro corra per il campo come succede nel calcio. La salute mentale, l’integrità di un individuo, la passione e il sacrificio di un essere umano valgono molto di più di qualche centimetro di troppo!».
Infine la rivendicazione: «Ho deciso di dire basta, per me e per tutti i ‘GRASSI’. Basta a delle regole che non sempre vengono fatte valere erga omnes. Basta alle vedute ristrette. Basta a un sistema che non si interroga se quei chili in più nascano da problemi di salute o periodi particolari della propria vita. Basta a chi si basa sui numeri e sotterra le emozioni. Da oggi inizia la mia battaglia per superare la discriminazione imposta da certe norme. Aiutatemi a fare la sentire la mia voce perché non è solo la mia voce. Sono grassa, sì! Ma anche di contenuti, voglia di lottare e speranza».
La risposta della Fipav
In molti si sono chiesti: ma di che regolamento sta parlando Martina Scavelli? Esiste davvero, nella pallavolo, una norma che “discrimina” gli arbitri sopra un certo peso, impedendo loro di raggiungere l’alto livello?
Un regolamento perfettamente comprensibile nel calcio, uno sport che prevede che l’arbitro corra per 90 minuti, anche più dei giocatori in campo, e sia sempre vicino all’azione. Meno nel volley, dove il direttore di gara è fermo su un trespolo.
La risposta è sì, esiste. Sul tema si è quindi espressa, per fare chiarimento e spiegarne le motivazioni, la Federazione Italiana Pallavolo.
«La normativa federale sui valori massimi di BMI (indice di massa corporea) e circonferenza addominale è già in vigore dalla stagione 2017/18 per tutti gli arbitri, compresi gli addetti di staff impiegati nei campionati nazionali (in realtà introdotta da oltre dieci anni per gli arbitri federali di Serie A e dunque successivamente estesa), sulla base di una delibera del Consiglio Federale che deriva dal recepimento di una normativa della Federazione Internazionale per motivazioni sanitarie: l’health management plan programme».
«La Fipav, dovendo rispettare la regolamentazione internazionale ha fatto propria la normativa e da quel momento ha fatto sì che tali parametri vengano costantemente rispettati per il corretto e regolare svolgimento delle proprie attività sportive».
«Obiettivo primario della normativa internazionale in oggetto è la salvaguardia dello stato di salute della classe arbitrale che, come si potrà immaginare, è costantemente informata e aggiornata su eventuali cambiamenti dei regolamenti stessi».
«Ovviamente la Federazione Italiana Pallavolo e il suo settore ufficiali di gara all’inizio di ciascuna stagione agonistica coinvolge i propri tesserati impegnati nel settore arbitrale affinché conoscano la normativa vigente che, come detto, si pone il principale obiettivo della tutela della salute».
Un dibattito acceso
Un grande merito del post di Martina Scavelli, e della sua decisione di chiudere con l’arbitraggio, è di aver acceso il dibattito sul tema.
Da un lato le intenzioni della FIVB e della FIPAV di promuovere il benessere fisico, di tutelare la salute della classe arbitrale che, sul trespolo, è sottoposta ad alti livelli di tensione.
Dall’altro le persone che vivono questi limiti come imposizioni, si sentono giudicate dal sistema. Sottolineano il valore della salute mentale, oltre che quella fisica.
In molti si sono espressi. Caterina Vaiti, segretaria confederale Cgil Calabria, ha parlato di body shaming: «Ancora una volta siamo costretti a dovere appurare che la fisicità per una donna è requisito discriminante in ambito lavorativo».
Voi come la pensate? Ne discutiamo nei commenti.